mercoledì 15 aprile 2020

#MOSQUITO / Wet market in Cina (David Quammen)

Prima di dedicarsi ai pipistrelli, Aleksei mi accompagnò a visitare un mercato alimentare della città per mostrarmi la varietà di cibo disponibile, almeno in via ufficiale. Camminando per gli stretti passaggi tra le file di banchi, vidi soprattutto pile ordinate di frutti e verdure, disposte con cura. Un banco vendeva carne già smembrata e tagliata, a opera di una macellaia che mulinava i suoi affilati strumenti su un grosso tavolo di compensato. Pesci gatto, granchi e anguille nuotavano lentamente in grosse vasche aperte. Le rane toro si accalcavano in grossi mucchi scuri. Lo spettacolo era triste perché mostrava in modo esplicito la condanna a morte inflitta agli animali di cui ci nutriamo, ma nell’insieme non scorgevo nulla di più strano o inquietante di un normale mercato alimentare. E qui stava il punto. Questo era il «dopo», la situazione che si era venuta a creare dopo che la SARS aveva messo la sordina alla cultura dello yewei. Aleksei mi raccontò che negli ultimi anni gli animali selvatici erano scomparsi dal commercio ufficiale. Le cose stavano ben altrimenti nel 2003 e anche nel 2006, quando si era accostato per la prima volta ai mercati della Cina meridionale. 

A Canton per esempio, nel mercato di Chatou, aveva visto cicogne, gabbiani, aironi, gru, cervi, alligatori, coccodrilli, cinghiali, cani procioni, scoiattoli volanti, vari tipi di serpenti, tartarughe e rane, oltre a cani e gatti domestici. Tutti in vendita per la carne. Mancavano gli zibetti, che erano già stati demonizzati e sterminati. L’elenco era incompleto, mi disse, e comprendeva solo le specie di cui si ricordava a memoria, da lui viste nel corso di caute esplorazioni. In quegli anni si potevano comprare anche gatti leopardo, muntjak (un genere di piccoli cervi), donnole siberiane, tassi, ratti del bambù cinesi, lucertole Leiolepis belliana, rospi, e tutta una lunga lista di rettili, anfibi e mammiferi, tra cui due specie di pipistrelli frugivori. Un menù da Trimalcione. Ah, ovviamente non mancavano gli uccelli: aironi guardabuoi, spatole, cormorani, gazze, un’ampia selezione di anatre e oche, fagiani, colombi, pivieri, gallinelle, folaghe, ghiandaie, corvi di vario tipo... Un collega di Aleksei mi disse che per quanto riguardava uccelli e pipistrelli era valido un noto adagio: «La gente della Cina meridionale mangia tutto quel che vola nel cielo, tranne gli aeroplani». Lui veniva dal nord. 

Dopo l’epidemia di SARS e la caduta in disgrazia degli zibetti, il governo locale (presumibilmente su pressione di Pechino) aveva dato un giro di vite, emanando nuovi regolamenti che limitavano il commercio di specie selvatiche nei mercati. La moda non era sparita, ma era stata spinta in clandestinità. «C’è ancora un sacco di gente in Cina convinta che mangiare la carne di animali selvatici appena uccisi faccia bene ai polmoni o aumenti la potenza sessuale o chissà cos’altro» mi disse Aleksei. 

*** David QUAMMEN, 1948, scrittore e divulgatore scientifico statunitense, Spillover, 2012, Adelphi, 2014-2020
https://it.wikipedia.org/wiki/David_Quammen


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