Camilla BUZZACCHI
Il lavoro. Da diritto a bene.
Franco Angeli, pagine 132, € 17,00
Testo di presentazione dell'Editore
A fondamento della Repubblica la Costituzione colloca il lavoro: che è, da un lato, condizione di equilibrato sviluppo della democrazia; e, dall'altro, diritto fondamentale, il cui esercizio è fonte di dignità per la persona. Si comprende così quanto irrinunciabile sia l'impegno delle istituzioni per garantire e promuovere tale valore, la cui salvaguardia assicura la natura democratica dell'ordinamento e accresce la dimensione di partecipazione di ciascun individuo al cammino della comunità.
Gli svolgimenti in atto, da oltre due decenni, nel sistema della produzione, e dunque nelle relazioni di lavoro, segnalano la sempre maggiore diffusione di stringenti logiche di mercato, il cui prevalere sulle funzioni pubbliche di collocamento viene legittimato dalle finalità di efficienza e dagli obiettivi occupazionali che la deregolamentazione pare assecondare.
Il paradigma della flexicurity ha così trasformato il rapporto, ma ancor più il concetto stesso di lavoro, che perde i connotati di diritto e assume quelli di un bene, se non addirittura di una proprietà; con la rinuncia, spesso, al complesso di protezioni che vanno sotto il nome di 'sicurezza'.
Alla luce delle coordinate valoriali che discendono dalla Carta fondamentale è possibile indagare la direzione che sta caratterizzando il fenomeno che sempre più spesso viene designato come 'mercato del lavoro', per una riflessione capace di inquadrare tale sviluppo senza smarrire la portata personalista del lavoro.
Citazioni (e sottolineature) scelte da Mixtura
" L'evoluzione a cui si assiste nei contesti a economia di mercato - tra i quali quello italiano è saldamente collocato - sollecita inevitabilmente interrogativi e induce ad esprimere riserve alla luce di un disegno costituzionale che collega la realtà del lavoro alla capacità dell'ordinamento di presentarsi autenticamente democratico: e dunque di fondarsi su una partecipazione dei consociati che è resa possibile primariamente dalla possibilità, per gli stessi, di dare un apporto al progresso del Paese con l'attività lavorativa che essi hanno la pretesa e l'opportunità di svolgere. La partecipazione dei lavoratori alla "organizzazione politica, economica e sociale del Paese", secondo la felice richiesta dell'alt. 3 Cost., è la condizione principale - anche se non l'unica - dello spessore democratico del sistema di convivenza nazionale: se tale partecipazione assume in misura crescente i connotati di una subordinazione a logiche di scambio da un lato, e di sostenibilità finanziaria dall'altro. Il timore è che il lavoro cessi di essere inteso come diritto e ritorni a essere considerato alla stregua di un bene, secondo l'impostazione culturale alle origini dei processi produttivi del mondo occidentale. Si tratterebbe di un'involuzione di forte incoerenza rispetto ad un cammino che, pur con tante distorsioni, ha rappresentato, per alcuni decenni, un'attuazione in raccordo con il sistema di valori alla base del patto fondamentale: ovvero in raccordo con la tensione di tutte le funzioni pubbliche al servizio dell'affermazione della persona ed alla protezione della medesima da dinamiche di interessi economici capaci di sacrificare le sue aspirazioni. Tendenze recenti, che sono espressione sempre più palese di tali dinamiche, suggeriscono l'opportunità di una riflessione e di un richiamo ai punti cardinali posti dalla Costituzione. "
" Ciò che prospetta la Carta fondamentale è un modello sociale nel quale ciascuna persona - considerata alla luce di quel principio non bilanciabile che è la dignità sociale - deve poter svolgere un'attività di soddisfazione e di sostentamento delle sue necessità; ma tanto l'affermazione che la Repubblica è fondata sul lavoro quanto la configurazione, nell'art. 4 Cost, anche di una dimensione di doverosità della scelta lavorativa di ciascuno, sottintendono un progetto di sviluppo che va oltre la condizione del singolo. L'occupazione di ogni consociato diventa fattore di crescita e di avanzamento dell'intero corpo sociale, la cui esistenza e vitalità si fondano su un modello del quale la partecipazione dei singoli in qualità di lavoratori rappresenta l'elemento distintivo: lo sviluppo non solo materiale, ma anche spirituale, della comunità non è qualcosa di simbolico e astratto, ma passa attraverso le molteplici e differenti attività di tutti coloro che al lavoro possono dedicarsi, e che così facendo garantiscono il benessere a se stessi ma anche determinano la solidità del sistema economico, sociale e culturale ed, in ultima analisi, politico. "
" La minaccia ad una concezione del lavoro funzionale alla dignità della persona non proviene solo dalla sua comprensione quale bene e merce di scambio; può riconoscersi anche in capo all'indirizzo - oggi sempre più accentuato - di considerare le politiche del lavoro funzionali primariamente alla crescita economica, e solo subordinatamente a valori e finalità che rientrano nella dimensione della persona e delle sue relazioni nella comunità.
Benché la dottrina giuslavorista abbia segnalato con forza che il diritto del lavoro non possa essere uno "strumento fondamentale e imprescindibile per la crescita economica" e che "si preoccupa tradizionalmente di proteggere i lavoratori, non di garantire la salute dell'economia e neppure di promuovere l'occupazione", negli ultimi anni la prospettiva appare diversa, e cioè incline da un lato a individuare nella tradizionale regolamentazione delle relazioni industriali una delle cause della situazione di crisi nella quale le economie di mercato sono sprofondate da più di un decennio; d'altro canto, a ravvisare in una nuova regolamentazione lo strumento per rendere più efficienti i processi della produzione e dunque per portare i sistemi economici a risultati più brillanti. "
" La garanzia del massimo sviluppo e del potenziamento della personalità di tutti i soggetti passa primariamente attraverso il lavoro: che la Costituzione non concepisce come un semplice fattore produttivo e generatore di reddito, bensì come fattore indispensabile di crescita morale e di realizzazione personale. I nuovi assetti regolativi che si possono concepire ed introdurre non possono allora essere solo funzionali a produrre sviluppo economico, mobilità sociale e dinamismo della forza-lavoro perché "l'efficienza economica non è mai uno scopo, ma è solo un mezzo": ma sono chiamati a consentire lo sviluppo della personalità del singolo e ad "elevare il lavoro a fattore generatore di unità e coesione sociale". "
*** Camilla BUZZACCHI, professore di Istituzioni di diritto pubblico dell'Università Milano-Bicocca.
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