Credo che le cose siano più complicate di come, in maniera manichea, le rappresentiamo. Non ci sono i fascisti da una parte e i buoni dall’altra. È chiaro che quando vedo i fascisti in piazza che strillano a braccia tese provo ribrezzo. Però, non penso che vadano eliminati dalla faccia della Terra. Penso che siano vittime di un incubo, schiavi di una rabbia incontrollata. Se dentro di te non è accesa la collera, il fascismo non fa presa. Un fascista felice e in pace col mondo è un controsenso.
[D: Anche lei poteva diventare fascista?]
Sì, perché l’organizzazione fascista dà un ordine esterno allo sbandamento che hai dentro. Le regole ferree, una certa idea di giustizia, la fede nel merito, ti illudono di poter rappresentare un risarcimento per quello ti viene tolto fuori, nel mondo.
[D: Lei come ha lenito la sua rabbia?]
Non lo so dire esattamente. So che man mano che ho fatto qualcosa che desideravo – lo studio di grafica prima, il disegno per lavoro poi – sono diventato sempre più comprensivo, e il livore si è affievolito.
[D: Ma è mai stato, anche per un attimo, fascista?]
Ho fatto dei pensieri fascisti. A volte li faccio ancora. Poi, mi dissocio immediatamente da me stesso. Credo che sia un istinto radicato in ciascuno di noi. La forza del fascismo è proprio questa: si innesta su un pensiero primitivo. Per esempio: delitto, punizione. È una logica che capiscono tutti. È elementare. Invece, la civiltà giuridica dice: delitto, recupero. È un processo assolutamente controintuitivo, anzi: controistintivo.
*** Marco DAMBROSIO (Makkox), intervistato da Nicola Mirenzi, estratto da "Per quella vignetta mi chiamò Mattarella". Intervista a Makkox, 'Huffington Post', 15 settembre 2019, qui
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