Quasi tutti erano stati presi di sorpresa. Non si aspettavano la nomina di Hitler. I giornali del primo gennaio 1933, cioè di poche settimane prima, trasudavano sicurezza, ottimismo da portar jella. “Il possente assalto nazista allo Stato democratico è stato respinto”, aveva annunciato a Capodanno il “Frankfurter Zeitung”. “La Repubblica è salva”, gli faceva eco il “Vossische Zeitung”, il più autorevole quotidiano della capitale. Il cattolico “Kölnische Zeitung” notava che i più sono ormai convinti che Hitler non ce la farà a prendere il potere. Ascesa e caduta di Hitler, titolava l’editoriale del “Vorwärts”, l’organo del Partito socialdemocratico. “Hitler chi?”, scherzava un articolo del “Berliner Tageblatt” su quello che i nonni di domani avrebbero potuto raccontare ai futuri nipotini.
A sinistra ciascuno era ancora sulle sue. I comunisti continuavano a prendersela con i socialdemocratici, i socialdemocratici coi comunisti. A litigare, gli uni con gli altri e ciascuno coi propri compagni di partito. Non c’era verso che concordassero un’iniziativa comune. Si trovarono d’accordo su pochissime cose: che un governo Hitler sarebbe durato poco, come erano durati poco i governi precedenti. E che tra i firmatari del patto di governo, il “reazionario” Hugenberg fosse di gran lunga più pericoloso del populista Hitler.
“La carnevalata durerà poco” - Alla riunione della direzione socialdemocratica, convocata per il 31, il capogruppo al Reichstag, Rudolf Breitscheid, sostenne che l’obiettivo del nuovo pateracchio tra “reazionari” e nazisti non era un regime di tipo fascista, ma “una dittatura del capitale”. E comunque prima di riuscirci i firmatari si sarebbero “azzannati tra di loro come predoni che si spartiscono il bottino”. Ancora a metà marzo, quando non ci potevano più essere dubbi su dove si stava andando a parare, il vecchio, rispettato Kautsky si diceva convinto che le carnevalate degli “imbecilli ignoranti che sanno solo travestirsi da cavalieri nordici” avrebbero fatto il loro tempo, e che Hitler sarebbe stato abbandonato dai suoi sostenitori non appena si fossero resi conto che non era in grado, né aveva l’intenzione, di mantenere le sue promesse demagogiche.
“La Germania non è l’Italia, Berlino non è Roma, Hitler non è Mussolini!”, proclamava il “Vorwärts” (Avanti!), il giornale del partito. “Sbaglia di grosso chi ritiene che qualcuno possa imporre un regime dittatoriale sulla nazione tedesca… è la stessa diversità del popolo tedesco a rendere indispensabile la democrazia,” gli faceva eco l’opinionista Theodor Wolff sull’autorevole “Frankfurter Zeitung”. Anche il teologo dell’Università di Bonn, Karl Barth, che per protesta contro la destra si era già iscritto al Partito socialista, si sbaglia clamorosamente: “La Germania è troppo inerte, non ha l’élan vital, il dinamismo che le ci vorrebbe per instaurare un regime come quello di Mussolini”.
*** Siegmund GINZBERG, 1948, giornalista, saggista, Sindrome 1933, Feltrinelli, 2019
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