Il dialogo tra insegnanti e allievi non li fa diventare uguali, ma segna la posizione democratica tra di loro. Gli insegnanti non sono uguali agli allievi per n ragioni, in modo speciale perché è proprio la differenza tra di loro che li fa come sono. Se fossero uguali, l'uno diventerebbe l'altro. Il dialogo ha senso proprio perché i soggetti dialogici non solo conservano la propria identità, ma la difendono e così possono crescere l'uno con l'altro. Il dialogo, per se stesso, non livella, non riduce l'uno all'altro. Non è un favore che l'uno fa all'altro. Comporta, invece, un rispetto profondo dei soggetti coinvolti, che però l'autoritarismo spezza o non permette che si instauri. Così anche la sregolatezza, in modo diverso ma allo stesso modo nefasto. Non c'è dialogo nello spontaneismo come nell'autoritarismo dell'insegnante. La relazione dialogica, però, non elimina la possibilità dell'atto di insegnare. Al contrario, è essa che fonda quest'atto, che poi completa e suggella l'altro, quello di imparare, e i due diventano veramente possibili solo quando il pensiero critico, inquieto, dell'educatore o dell'educatrice si abbandona alla curiosità dell'educando. Se, invece, il pensiero dell'educatore o dell'educatrice elimina, schiaccia, ostacola lo sviluppo del pensiero degli educandi, allora questo pensiero autoritario dell'educatore non fa che suscitare, negli educandi su cui incide, un pensiero timido, insincero o a volte puramente ribelle.
*** Paulo FREIRE, 1921-1997, pedagogista brasiliano, Pedagogia della speranza, Ega, 2008-2014, citato da Felice Signoretti, già insegnante e preside, Il dialogo a scuola, facebook, 13 settembre 2018, qui
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