Passato un quarto di secolo il bilancio di Mani pulite contiene una infinità d’ombre. Non per gli arresti, le accuse, i processi. Che al netto di errori giudiziari fisiologici restano sacrosanti. Ma perché solo poche battaglie di quella guerra sono state vinte. Per la semplice ragione che nessuna rivoluzione è possibile per via giudiziaria. E che ogni evoluzione, in un paese democratico, cammina sulle gambe della politica che elabora riforme sulla base di valori condivisi.
Il potere, scompaginato da quel grande vuoto che seguì il biennio delle inchieste, si è rapidamente riorganizzato. La corruzione non è stata debellata, si è solo evoluta in orizzontale, moltiplicandosi in ogni settore della vita pubblica e specializzandosi in nuove tecniche più resistenti alle indagini. I tempi processuali si sono allungati rallentando l’intera macchina della giustizia, mentre le zebre hanno imparato a correre più veloci.
Da allora la politica – rimasta senza sedi, senza radici, senza una classe dirigente, senza una cultura capace di selezionare il merito anziché la fedeltà – nuota nell’acquario della televisione, dove si è specializzata in un suo personale metabolismo che le consente di nutrirsi a temperatura costante: quella artificiale dei talk show. E coltivando nuove creature politiche anaerobiche, ormai schiave di quella luce e capaci soltanto di pretenderne a sufficienza per gridarci dentro la versione più elementare del selfie: «Io esisto».
*** Pino CORRIAS, 1955, giornalista, saggista, scrittore, Nostra incantevole Italia: Da Portella della Ginestra alla villa di Grillo, da Sanremo a Lampedusa, passando per Arcore e Dagospia: i luoghi che hanno cambiato la nostra storia, Chiarelettere, 2018.
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