Sono anni che mi occupo di immigrazione. Conosco cooperative che hanno svolto il loro lavoro nonostante lo Stato e altre che invece c'hanno sonoramente marciato, a danno dei migranti. Conosco persone che fanno i mediatori culturali dando un senso alla propria laurea e persone che hanno sfruttato per pochi euro i migranti. Sono stato tante, troppe volte, nei maledetti CIE (quelli che vorrebbe riaprire Salvini), dove ho conosciuto migranti che si erano tagliati le vene dei polsi perché volevano tornare nei loro Paesi (sì, avete letto bene), i quali non volevano riprenderseli, costringendoli in una condizione esasperata di non-cittadinanza (sì, funziona così, altro che rimpatri coatti). Ho visto morire un ragazzo nell'indifferenza generale, era caduto dal tetto del CIE di Gradisca, voleva guardare il cielo per festeggiare la fine del Ramadan, si era stancato di vedere il blu attraverso le sbarre. Ho visto filo spinato, protezioni in plexiglas per persone che non avevano commesso nessun reato, ma che avevano cercato di scappare alla miseria e si ritrovavano dentro a una prigione chiamata Cie. Ho visitato tendopoli e baraccopoli immonde, indegne per qualsiasi concezione di umanità. Ho visto persone occuparsi dei migranti in transito in mancanza delle istituzioni, i campi nei quali vige lo schiavismo, palazzine occupate senza condizioni igieniche ma anche nessuna alternativa abitativa. Ho incontrato luoghi che funzionano, che fanno accoglienza diffusa, che danno e creano lavoro, dove l'umanità non è il buonismo fine a se stesso (che poi, non si capisce dove starebbe il problema) ma si associa a dare impulso all'economia. Ho visitato i campi profughi in Africa, in Medio Oriente, sono stato a Idomeni. Ho pianto lacrime d'impotenza.
Ho visto il buono e il cattivo, compreso il degrado, la complessità, la disumanità, la gestione burocratica e a volte fallimentare di una gigantesca questione mondiale come quella dell'immigrazione.
Ma quello che non ho mai visto sono questi benedetti hotel a cinque stelle dove i migranti starebbero a pancia all'aria in piscina e con lo spritz in mano.
La cosa più drammatica è che sono sicuro che non li ha mai visti nemmeno chi ne parla. E ancora meno ha visto i luoghi della sofferenza e della complessità, che almeno aiuterebbero a capire, a giudicare con serietà le cose, a fare in modo che sia la competenza e non l'ignoranza e la rabbia a guidarci.
La verità è proprio questa ed è dura da ammettere: abbiamo paura di vedere ciò che esiste, perché è più facile credere alle panzane di un politico senza scrupoli che ci racconta una realtà che non c'è piuttosto che giudicare con i nostri occhi.
Fuori dai social e dai media, dalle dirette facebook, c'è il mondo. Che spesso è una merda vera. Ma se vogliamo combatterla, dire la nostra, provare a cambiare, almeno dovremmo avere il coraggio di annusarne l'odore. Perché sa di merda, non di cloro e tanto meno di Aperol. Almeno questo, per rispetto a chi ci vive dentro ogni giorno, almeno questo.
*** Marco FURFARO, facebook, 6 giugno 2018, qui
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