La questione è più semplice di quello che si dice.
Vogliamo ammettere che c'è un gigantesco problema di abuso di potere attraverso le molestie e in alcuni casi violenze, e che questa è una pratica pervasiva in ogni ambito professionale, anche nei più aperti, nei più emancipati culturalmente, in quelli che in genere vengono considerati di sinistra, in contesti attenti al rispetto delle donne, nelle relazioni basate sulla fiducia, e che questa sia una pratica mai stigmatizzata? Oppure pensiamo che sia in atto una forma di delirio collettivo, di contagio virale della mitomania, in alcuni casi dettata da fini strumentali (un ritorno di visibilità a fine carriera, una forma implicita di ricatto pubblico, un moralismo spacciato per libertà)?
Perché se non ammettiamo che esista un gigantesco problema di abuso di potere, non riusciamo nemmeno a essere veramente garantisti, millantando di esserlo ogni qualvolta c'è da difendere un maschio accusato di abusi. Garantisti vuol dire concedere a tutti la presunzione d'innocenza fin all'ultimo, evitare i comitati di salute pubblica e riportare la discussione dei reati sempre nell'alveo dello stato di diritto. E allora l'interrogativo è: perché alcune donne e alcuni uomini decidono di confessare in pubblico di aver subito violenze o reati magari dopo dieci o vent'anni, invece di farlo con i magistrati?
Forse perché non c'è stata finora la percezione che questa pratica di abusi e violenze sia fosse così pervasiva e così socialmente inaccettabile? Forse perché abbiamo pensato, da abusanti, da vittime, o anche appunto da semplici uomini e donne di mondo consapevoli che l'amico regista, il produttore con cui abbiamo mezzo lavorato, il compagno con cui abbiamo fatto militanza, il collega con cui giochiamo a calcetto è semplicemente "uno che ce prova co tutte", "uno che gli piace scopasse quelle più giovani", "uno che se non giela dai non te fà lavorà"; e abbiamo ritenuto che tutto questo fosse in definitiva il modo in cui va il mondo, e che si può essere complici, subirlo o ignorarlo?
Per questo, e meticolosamente, va riletto il libro di Ida Dominijanni "Il trucco", perché mostra come c'è stata in Italia una trasformazione del discorso pubblico dieci anni fa, al tempo del bunga bunga e di Ruby Rubacuori, che non si è riuscita a imporre. Patrizia D'Addario, Veronica Lario, le olgettine, denunciavano - ognuna con il suo grado di consapevolezza e con la sua specifica posizione dentro un contesto sensibile - un intero sistema di potere retto sull'umiliazione della donna. Importa che ne fossero state in gran parte sia vittime che complici che attive artefici? Se non ne avessero partecipato, come avrebbero potuto denunciarlo?
Oggi accade lo stesso, anzi Ambra Battilana Gutierrez, l'attrice-modella da cui è partito tutto, che ha denunciato Weinstein per stupro, era anche ai festini di Arcore. Che facciamo, la consideriamo con lo stesso sorriso di sufficienza con cui abbiamo rubricato le dichiarazioni di Patrizia D'Addario a suo tempo oppure possiamo darle del credito?
Cosa è accaduto in questi anni, dalle cene eleganti al caso Weinstein? È accaduto - e anche qui Ida Dominijanni ha colto il punto - che c'è stata la presidenza Obama, che ha mostrato platealmente come si possa essere un maschio di potere immenso, ma fichissimo e femminista. Non era mai accaduto, e questo è sì un cambiamento irreversibile, non c'è backlash con Trump che tenga. Poi certo possiamo ancora divertirci con Berlusconi che dice "abbronzato" e "culona", ma avremo sempre meno gente intorno con cui farlo. E avere la legittimazione culturale per non denunciare il maschilismo.
Negli ultimi anni le denunce sui predatori seriali sono venute fuori alla fine delle loro carriere, da Jimmy Seville a Bill Cosby. Questo non è accaduto semplicemente perché non c'è nessuno che ha denunciato prima, ma perché un intero ambiente tollerava, subiva, copriva, era connivente, approfittava di questo sistema. Dare un calcio sulle palle, o sottrarsi, non otteneva l'effetto voluto: rompere quel sistema. Ora sembra meno possibile. E sarà interessante, anche per vedere come la cultura garantista e quella femminista possano integrarsi. A rileggersi il caso di Franca Viola o a rivedere oggi "Processo per stupro" fu una bella sfida anche lì: eventi simbolici tali da cambiare il codice penale, e sicuramente la percezione del reato.
Questo ci riguarda? Molto, anche se non siamo molestatori, stupratori, vittime, eccetera. Perché il patriarcato maschilista è l'acqua in cui abbiamo nuotato, anche se abbiamo avuto la fortuna di essere stati educati in ambienti emancipati e abbiamo scelto di essere femministi. Poi, se pensiamo non sia così, e che questa sia una roba di gossip e delazioni, sarà lo stesso: come spesso capita, delle trasformazioni sociali ne beneficiamo anche se non ci abbiamo partecipato.
*** Christian RAIMO, scrittore e insegnante, 'facebook', 5 novembre 2017, qui
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