Il 2 febbraio 1933, per esempio, uno dei principali quotidiani ebraici tedeschi pubblicò un editoriale in cui esprimeva una fiducia malriposta:
Noi non sottoscriviamo l’opinione che Hitler e i suoi amici, ora che finalmente detengono il potere che hanno tanto a lungo desiderato, attueranno i propositi di cui parlano [i giornali nazisti]; non priveranno all’improvviso gli ebrei tedeschi dei loro diritti costituzionali, non li costringeranno a vivere in ghetti, a subire gli impulsi gelosi e omicidi della marmaglia. Non possono farlo perché molti fattori cruciali tengono a freno i loro poteri... e chiaramente loro non vogliono procedere lungo quella strada. Quando si agisce in veste di potenza europea il clima generale stesso porta a riflessioni di stampo etico sulla parte migliore di sé, non certo a riproporre l’antico atteggiamento di quando era all’opposizione.
Tale era l’opinione di molte persone ragionevoli nel 1933, così come lo è oggi. L’errore è di presumere che i governanti giunti al potere tramite le istituzioni non possano cambiarle e distruggerle, perfino quando è esattamente quello che avevano proclamato di voler fare prima di vincere. I rivoluzionari a volte si prefiggono proprio di distruggere subito le istituzioni. Era questo l’approccio dei bolscevichi russi. A volte le istituzioni sono private di vitalità e funzione, trasformate in un simulacro di quello che erano un tempo, affinché si adeguino al nuovo ordine invece di resistergli. È quello che i nazisti chiamarono Gleichschaltung.
*** Timothy SNYDER, 1969, storico e saggista statunitense, Venti lezioni. Per salvare la democrazia dalle malattie della politica (On Tiranny, 2017), Rizzoli, 2017, traduzione di Chicca Galli
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