(...) Il burqa è una prigione ambulante, l’esibizione pubblica della sottomissione della donna, emana disprezzo per l’eguaglianza da ogni filo con cui è tessuto. (...)
In una società “colma di simboli della supremazia maschile”, il burqa sarebbe uno dei tanti, dunque accettabile al pari di “riviste erotiche e pornografiche, nudi fotografici, jeans stretti, abiti trasparenti o inguainanti”, giustifica Martha Nussbaum. Ma l’unica analogia in qualche modo sostenibile sarebbe con una pratica che consentisse agli uomini di portare al guinzaglio per strade, ristoranti, cinema, la propria donna. Se accadesse, una legge che lo vietasse, magari con tanto di galera per il padrone, sarebbe il minimo. (...)
Legittimare la diseguaglianza in plateali ostentazioni pubbliche rafforza e radica oppressione e prepotenza del maschio. Si tratta invece di estirparla, e quella violenta con misure draconiane. (...)
A quanti, con la Nussbaum, sostengono che il burqa non è un simbolo di odio, sfugge che è già un fatto (oltre che un simbolo) – eclatante e spudorato, arrogante e tracotante – di dominio sulla donna, l’opposto dell’eguaglianza, l’osceno inno quotidiano con cui il maschio celebra coram populo la riduzione della volontà della donna a sua (di lui) proprietà. Anche con le leggi più rigorose, sradicare soggezioni storiche o addirittura ataviche è improbo, immaginiamoci senza, e addirittura con la possibilità di ostentare, esibire, pavoneggiare, teorizzare. Infine canonizzare, in nome dell’eguale rispetto. La schiavitù come libera scelta. (...)
*** Paolo FLORES D'ARCAIS, filosofo, direttore di 'MicroMega', brani tratti da Paolo Flores d’Arcais, La guerra del Sacro: terrorismo, laicità e democrazia radicale, Cortina editore, 2016, pubblicati in 'MicroMega online', 25 luglio 2016, qui
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