C’era una volta un taglialegna che non riusciva più a trovare la sua ascia.
Era sicuro di averla lasciata la sera prima nel cortile di casa, situata al limitare del bosco: la mattina si era alzato e l’aveva cercata, ma non l’aveva trovata.
Pensò e ripensò a dove poteva averla dimenticata: e si convinse che doveva proprio essere rimasta accanto alla porta della legnaia.
La casa del taglialegna confinava con quella del vicino, anche lui boscaiolo.
La mattina, come al solito, lo vide di buon’ora al lavoro: stava impilando la legna che aveva spaccato il giorno prima. Come sempre, si salutarono, augurandosi buon giorno.
Fu in quel momento che gli venne l’idea: e se fosse stato lui a prendersi l’ascia?
Si lasciò andare a questo pensiero, e subito gli parve di aver colto, nel saluto del vicino, qualcosa di strano: sì, non era il solito buon giorno. Il tono della voce, il modo di guardare, in generale tutto il suo modo di fare gli sembrarono diversi dall’usuale.
Più volte durante la mattina, da lontano, senza farsi accorgere, osservò meglio il vicino.
Non l’aveva mai guardato con questa attenzione: lo sguardo, la faccia, le mani, l’andatura, i movimenti.
Lo studiò e lo ristudiò, e alla fine si convinse che c’era qualcosa di strano nel suo atteggiamento generale, qualcosa di forzato e di meno spontaneo del solito.
Insomma, tutto diceva che il vicino aveva qualcosa da nascondere.
Già, concluse, non poteva che essere stato lui a rubargli l’ascia.
Il pomeriggio, come sempre, il taglialegna si inoltrò nel bosco per raccogliere della nuova legna.
Percorse il sentiero che si snodava lungo la valle e che conduceva allo spiazzo nel quale il giorno prima, fino al tramonto, aveva fatto a pezzi e ripulito i tronchi di parecchi alberi.
Si chinò su un tronco che aveva lasciato a metà per riprendere a segarlo.
Fu in quel momento che gli cadde l’occhio su un grande masso poco distante: di fianco, adagiata a terra c’era la sua ascia.
Immediatamente si ricordò: per caricare la legna sulla carriola, aveva posato a terra l’ascia e poi, evidentemente, l’aveva dimenticata accanto al sasso.
Ritornò a casa contento.
Incontrò il vicino e si augurarono buona sera.
Ripensò alla mattina, quando aveva deciso di osservare di nascosto il comportamento del vicino.
E si ritrovò a guardarlo da lontano, con la stessa attenzione e discrezione, mentre sistemava gli attrezzi nel cortile: notò lo sguardo, la faccia, le mani, l’andatura, i movimenti.
I gesti erano calmi, misurati. Il viso tradiva la stanchezza, ma era aperto, sereno.
Risentì il suo saluto: era stato caldo, sincero. Il tono della voce, il modo di guardare, in generale tutto il suo modo di fare gli sembrarono naturali: quelli di sempre.
Già, concluse, era impossibile pensare che uno come lui potesse aver rubato un’ascia.
*** Massimo Ferrario, L'ascia del taglialegna e il vicino, 1994-2016, per Mixtura. Riscrittura di una favola-parabola attribuita a Lieh-tzu (V-IV secolo a.C.) contenuta in Fausto Tomassini, a cura di, Il vero libro della sublime virtù del cavo e del vuoto, Tea, Torino, 1988
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Il dato di realtà che ristruttura le nostre percezioni. Il santo graal della consulenza. Grazie Massimo.
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