Il mito del migrante malato e untore è presente in tutte le culture perché radicato nel nostro sistema nervoso, precisamente nell’amigdala, struttura profonda in cui dimorano impulsività, rabbia e sospetto: questa forma di narcisismo tribale si è rivelata nei secoli fondamentale nella lotta per la sopravvivenza. Il clan meglio conosciuto è quello che più facilmente ti proteggerà, ti darà da mangiare e terrà in vita; sconosciuti virus e batteri i contagi erano imputati alle persone di passaggio. Nel mondo moderno questa visione diventa più difficile da sostenere: nascono così giustificazioni più o meno creative, e la persona al di là del confine o del mare ora non è più intrinsecamente cattiva, solo portatrice di una specifica minaccia – contaminazione culturale e danno economico tra le altre più gettonate.
L’organizzazione mondiale della sanità è però chiara al riguardo: non c’è correlazione tra migrazione e aumento di patologie contagiose. Gli immigrati provenienti da paesi in via di sviluppo possiedono una salute sostanzialmente integra al loro arrivo in Italia. Questo dato è stato definito effetto migrante sano, ed è spiegato dall’autoselezione di chi decide di emigrare.
*** Nicola BOCCOLA, consulente, formatore, scrittore, I falsi miti sulle malattie dei migranti, 'treccani.it', 30 maggio 2016
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