(...) Questi sono tempi di complicazioni linguistiche e burocratiche a cui corrispondono strane semplificazioni, anche e soprattutto nel mondo aziendale. In pratica, ciascuno parla o scrive con un suo linguaggio tecnico, per iniziati, al punto che si può comprendere quasi solo ciò che scrivono, o affermano, coloro che fanno lo stesso mestiere. E poi ci lamentiamo del non ascolto o dell’incomunicabilità … Invece per esaminare cosette come la selezione del personale o la scelta del consulente o l’identificazione di una vision troviamo, prevalentemente nel magico mondo del web, brevissime formulette, magari sotto forma di elenchi puntati e, per carità, che non si superino mai i dieci comandamenti!
Ma è inutile nascondersi, alcuni consigli li troverete anche qui, insieme a quelle che sono puramente opinioni personali.
Nei colloqui di selezione ho sempre presunto di essere in un’azienda ideale, pur conoscendone bene i difetti, poiché se collochiamo la persona giusta al posto giusto l’azienda si avvicina automaticamente a ciò che possiamo ritenere ideale.
Nello scegliere un candidato ci sono quattro parametri importanti, secondo me.
* Il primo è la persona: credo sia indispensabile lavorare con individui con cui si condividono alcuni valori fondamentali. Ma questo presuppone che si sappiano riconoscere prima di tutto i propri valori fondamentali: se vogliamo usare un linguaggio consono siamo nell’ambito della padronanza personale. Per comprendere i valori del candidato serve principalmente l’ascolto. È ovvio che si possono prendere cantonate, ma se il dialogo funziona è molto probabile che si abbia qualcosa in comune.
* Il secondo parametro è in quale gruppo verrà inserito a lavorare il candidato, tenendo conto che anche il lavoro più solitario ha comunque connessioni con altri individui. Ogni azienda ha una propria anima, ed è in una specifica fase del proprio ciclo di vita. È dunque ovvio che in uno start up siano indispensabili almeno creatività e problem solving, ma questi sono parametri su cui troviamo informazioni ogni giorno. Mi è capitato spesso di trovare team assolutamente omogenei, ognuno fatto ad immagine e somiglianza del capo, oppure tutti secondo il modello yes men, tutti selezionati secondo la regola, chiaramente imposta dal capo, di ottenere un gruppo facile da gestire. Ecco … io sono contro l’omologazione. Se ho un gruppo di persone serie, responsabili, forse un po’ monotone, l’inserimento di una personalità creativa genera buone opportunità, per tutti. La difficoltà è nell’aggiungere pepe senza danneggiare il cibo. Un gruppo con skills eterogenee, anche (e forse soprattutto) se fanno una lavoro molto simile tra loro, ha un’enorme capacità di risolvere i problemi e imparare senza particolare fatica. La capacità relazionale di uno, ad esempio, diventa stimolo e supporto all’orientamento al compito dell’altro, la fantasia dell’uno spinge la solidità dell’altro, e ne viene a sua volta trattenuto prima di perdersi nei sogni. Il dialogo permette a tutti di imparare acquisendo professionalità sempre più sfaccettate e complete. Si chiama, credo, apprendimento di gruppo.
* Il terzo parametro andrebbe elaborato con estrema attenzione ben prima di iniziare la selezione poiché riguarda quello che decidiamo essere il profilo del candidato. E qui, prendendo spunto da un celebre film, posso dire che “ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare”. In realtà sto scherzando: si vedono inserzioni tali da essere diventate vere e proprie barzellette e la rivista Linus ha creato un rubrica ad hoc per tradurre i profili richiesti in quelli che realmente l’azienda ricerca: rubrica satirica, ovviamente.
Nel mio piccolo, comunque, ho sentito manager dichiarare con orgoglio di volere solo numeri uno nelle loro aziende, e quindi selezionare solo persone di alto profilo per poi trattarle come strofinacci, ho visto selezionare venditori esperti con l’obiettivo di pagarli pochissimo, e poi lamentarsi se non erano motivati o se, alla prima occasione, cambiavano azienda.
Evitando, però, i casi più drammatici, posso dire che la mia prima assunzione è avvenuta oltre un anno dopo che avevo risposto all’inserzione. Motivo? Cercavano due competenze ben precise, e non tanto frequenti, in persone con scarsa esperienza lavorativa (per pagare poco) e volevano, assolutamente, una caratteristica: che il candidato fosse uomo. Per me era il primo lavoro, casualmente avevo le competenze richieste, ma, essendo donna, sono stata contattata solo dopo che avevano esaurito ogni speranza, disperdendo una follia di tempo e risorse. In pratica, va bene farsi un profilo del candidato, ma evitiamo di farci condizionare troppo dai nostri modelli mentali, o almeno riconoscere che a volte i pregiudizi andrebbero superati.
* E il quarto parametro? Io credo, ma so che potrei sbagliare, che ogni azienda debba fare almeno un pezzo di strada con i suoi dipendenti. Di conseguenza non si sceglie un candidato solo perché mi serve oggi, ma anche perché rientra nel quadro di cosa desidero per il domani. E questo presuppone che ci sia un’idea di futuro. No, siamo seri, non un piano decennale e nemmeno un prospetto delle carriere: roba da multinazionale poco concreta per la maggior parte delle piccole e medie aziende italiane, ma una visione del futuro desiderato, un sogno concreto da condividere e realizzare insieme. Una vision.
Certamente avete riconosciuto quattro delle cinque discipline di Senge. Dunque, per concludere, che per selezionare il candidato ideale serve anche il pensiero sistemico, sia per integrare tutti i parametri indicati sia per riconoscere la capacità di pensiero sistemico nel candidato.
*** Carla FIORENTINI, consulente nell'area dello sviluppo delle persone, saggista e blogger, fondatrice di http://www.chingecoaching.it/, Scegliere il candidato ideale, 'caosmanagement', febbraio 2016, qui
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