Dal 1957 al 1970 avevo insegnato a Catania e avevo imparato parecchie cose sulla mafia. Avevo sentito che Salvo Lima aveva a proprio carico quattro inchieste di autorizzazione a procedere. Allora, in base al metodo empirico che cerco sempre di seguire, mi documentai e trovai quelle quattro richieste. Erano reati in fondo modesti, rispetto a quelli che gli avevo sentito attribuire (ma per i quali non avevo le prove), tra cui c'era anche un massacro, il massacro di via Lazio, in cui era stata uccisa una famiglia di mafiosi costruttori, mi pare padre e tre fratelli. Andai allora dal ministro del Bilancio del tempo, Giulio Andreotti, a dirgli che se restava Lima io andavo via. Andreotti mi disse: «Sì, sì, conosco il problema: dopo ne parliamo». Replico: «Guardi me ne vado e me ne vado con dimissioni pubbliche».
Non successe nulla e io me ne andai.
Ecco: questo è tutto. A cosa è valso questo gesto?
E' chiaro che stare al Bilancio a dare consigli a un ministro che aveva quel collaboratore era inaccettabile dal punto di vista civile: far finta di niente significava accettare, avallare. Ma andandomene cosa ho ottenuto? Nel breve periodo nulla; ma, se non altro, ho dimostrato che è possibile reagire e protestare, nello sforzo di contribuire a fare in modo che il Paese a civiltà limitata divenga gradualmente un Paese a civiltà piena.
*** Paolo SYLOS LABINI, 1920-2005, economista, saggista, incontro del 6 marzo 2002 nell'Aula Magna dell'Ateneo di Milano Bicocca, a proposito delle dimissioni date nel 1974 dal comitato comitato tecnico scientifico del ministero del Bilancio, citato da Maurizio Viroli, Sylos Labini, come resistere a un Paese a civiltà limitata, 'Il Fatto Quotidiano', 6 dicembre 2015.
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