lunedì 7 settembre 2015

#ARK / Formazione e Relazione Formatore-Utente, 1983 (M. Ferrario)

Sembra davvero preistoria.
Avevo del tutto dimenticato il contributo che qui presento. Un po', forse, perché giace nel passato da oltre trent'anni e trent'anni possono essere un macigno nei ricordi anche senza che si sia affetti da alzheimer; e un po' (ma questo l'ho capito solo quando mi sono riletto l'articolo) perché il taglio 'utopicheggante' che lo caratterizza forse ha contribuito, anche inconsapevolmente, a farmelo evaporare dalla memoria.
Colpevole del ritrovamento è stato il libro, appena uscito, scritto e regalatomi da un collega-amico. Si tratta di un volume, poderoso e ponderoso, ricco di contenuti intelligenti che ogni formatore farebbe bene a compulsare per meglio capire il mestiere che ha deciso di svolgere: raccoglie gli scritti, in tema di 'formazione & dintorni', dal 1984 ad oggi di Massimo Bellotto, Pensieri su la formazione sociale. Dal 1984 al 2015, Thesy editore, 2015. 
In un suo saggio dell'epoca, ripubblicato nel libro, il collega citava anche questo mio vecchio testo all'interno di una lunga bibliografia con autori assai più illustri.

Ho faticato a ritrovare in archivio la rivista su cui questo 'pezzo' era uscito, ma alla fine il mio 'ordine disordinato' ha avuto la meglio: me lo sono riguardato e ho deciso di riformattarlo per Mixtura, come sempre senza apporvi alcuna correzione. 
Forse merita ancora un'occhiata e può suggerire qualche riflessione.
Se il disallineamento rispetto alle prassi di quegli anni, denunciato nell'articolo, era già problematico allora, figuriamoci oggi: c'è il rischio di aver perso, in tutti questi anni, perfino il vocabolario necessario per cogliere e interpretare i modelli e i concetti sottolineati.
Eppure lo ripropongo. Per tre ragioni:
° Per sottolineare il tipo di dibattito che poteva occupare, allora, l'ambiente degli addetti ai lavori. 
° Perché nella sostanza, una certa ingenuità utopistica che percorre queste pagine la conservo con convinzione anche oggi. A oltre trent'anni di distanza. 
° E infine, per valutare quanto i tempi siano andati in direzione lontana o contraria e, quindi, per 'misurare' il grado di 'disincanto' in cui siamo 'precipitati'. (mf)

° ° °
(1) Premessa
Con il presente contributo ci proponiamo di individuare il modello di relazione formatore-utente più funzionale ad un genuino e produttivo processo di formazione, e di riflettere, conseguentemente, sulla strategia di azione più idonea a fornire a formatore e a utente gli spunti di atteggiamento e di comportamento più appropriati per una utile e critica interazione attiva.

Nostra ipotesi di partenza è che la relazione formatore-utente sia plurideterminata, in particolare almeno dai seguenti fattori:
• il modello di formazione cui si fa riferimento;
• il ruolo effettivo svolto dal formatore all'interno della concreta situazione di formazione;
• lo specifico modello di apprendimento utilizzato;
• il ruolo effettivo svolto dall'utente all'interno della
concreta situazione di apprendimento.

Per sviluppare questo assunto, dopo aver chiarito cosa intendiamo per "modello" di formazione e di apprendimento e per "ruolo" di formatore e utente, esamineremo:
• le caratteristiche fondamentali di tre differenti modelli formativi, soprattutto in rapporto alle diverse modalità di approccio al problema della strutturazione dei contenuti didattici e dei legami inter-ruolo agenti all'interno della situazione formativa;
• il ruolo di formatore, inteso come prodotto dell'incrocio di variabili quali l'atteggiamento verso i contenuti e verso l'utente:
• la correlazione esistente fra atteggiamenti/stili del formatore e modelli di formazione;
• due opposti modelli di apprendimento culturale e operativamente possibili, e il loro legame con i modelli di formazione individuati;
• il significato del rapporto formatore-utente e i relativi modelli di riferimento, nonché la loro correlazione con i modelli di formazione e di apprendimento;
• il fattore 'rischio' come componente strutturale caratterizzante una relazione formatore-utente orientata secondo modalità intersoggettive e finalità di sostanziale cambiamento, e i relativi condizionamenti economico-culturali che ne frenano lo sviluppo.

Lo stile del discorso che svolgeremo potrà forse talvolta apparire troppo 'secco' e 'radicale'. Tuttavia, la scelta di rinunciare ai condizionamenti e di estremizzare la descrizione di alcuni modelli, procedendo per appunti, è consapevole e ha ovvie finalità provocatorie di invito alla riflessione. A chi legge è lasciato il recupero delle contraddizioni e delle sfumature che gli schemi qui illustrati ignorano ma di cui la real¬tà è tanto ricca.

(2) - Alcune definizioni
Tentiamo prima di tutto di definire alcuni concetti che impiegheremo nel corso di queste note.

• Per 'modello di formazione' intendiamo il modo in cui è orientale e strutturato il processo di formazione e, in particolare, la concreta e specifica situazione formativa, ossia l'insieme relazionale rappresentato fisicamente e psicologicamente da committente, formatore, utente e ambiente nelle sue due polarità dimensionali di 'micro' e 'macro' e di 'interno' e 'esterno' alla situazione stessa.
Il modello di formazione è quindi ricollegabile al tipo di interpretazione data alla definizione, e trasmissione, dei contenuti formativi da veicolare - siano essi conoscenze, capacità, atteggiamenti o comportamenti - e alla determinazione del tipo di rapporto instaurato tra formatore, committente, utente e ambiente.

• Con il termine 'ruolo' indichiamo lo specifico atteggiamento/comportamento che è esibito all'interno della situazione di formazione (o di apprendimento), dalle varie parti che costituiscono l'insieme relazionale, che è prodotto dal modello di formazione (o di apprendimento) al quale nella prassi ci si riferisce.

• Con l'espressione 'modello di apprendimento' ci riferiamo allo schema teorico-operativo con cui è razionalizzato il processo di apprendimento che concretamente si attua nella specifiche situazioni di apprendimento.

(3) - Possibili modelli di formazione
Quali sono i modelli di formazione, storicamente prodotti, cui è possibile far riferimento? Crediamo siano tre (vedi tav. A):
° formazione come prodotto
° formazione come servizio
° formazione come processo


I primi due sono autocentrati: costituiscono e auto-perpetuano la formazione come istituzione, interpretandola come 'data', cioè preconfezionata e sostanzialmente immodificabile.
Il terzo, orientato alla situazione formativa, tende a costituire e denegare contemporaneamente la formazione, vivendola e proponendola come farsi e disfarsi dialettico, ri-costruita e ri-gestita volta a volta, nei contenuti e nelle modalità, con i soggetti utenti. 
Difficilmente presenti allo stato puro, senz'altro più o meno dominanti a seconda dell'epoca storica, tutti insieme questi modelli esercitano tuttora un'attiva influenza nelle specifiche situazioni formative. 

Vediamone quindi i principali tratti distintivi.

(a) La formazione-prodotto si caratterizza per la centratura su chi la eroga. 
L'assunto è: (1) so di cosa hai bisogno (2) quindi te lo do. 
È costruita a tavolino e venduta come un bene commerciale. 
Il prodotto tipico è rappresentato dal corso interaziendale.

(b) La formazione-servizio è orientata al mercato e, almeno apparentemente, si pone come centrata sull'utente. 
L'ipotesi guida è: (1) ho capito le tue esigenze (2) ho quello che fa per te. 
È progettata con l'occhio al destinatario e gode di un minimo di flessibilità. Tuttavia, la disponibilità a mettersi in discussione con chi dovrebbe esserne il vero soggetto utilizzatore è pressocché nulla: di fatto, anche se 'personalizzata', si offre 'in vendita'. Ne è prodotto esemplificativo il corso aziendale.

(c) La formazione-processo non si 'pone' ma si 'pro¬pone' dialetticamente in un divenire finalizzato al cambiamento. 
Non è centrata ne su chi la fa ne su chi, più o meno attivamente, la riceve, ma sull'insieme relazionale specifico in cui avviene l'episodio formativo. 
Le linee guida sono: (1) fammi capire le tue esigenze (2) vediamo se è possibile trovare una soluzione insieme. 
È scontato un continuo ridefìnire la situazione - appunto: il processo - ed è connaturata una costante implicazione e ridiscussione del ruolo di chi si presenta come agente formativo. 
Il prodotto tipico è difficilmente individuabile: può essere qualunque intervento strutturato che provochi l'innesco di un processo attivo orientato al cambiamento.

I rapidi cenni con cui si sono descritti i tre modelli sono insufficienti a far comprendere le concrete implicanze a livello di relazioni committente-formatore-utente e di contenuti formativi oggetto del processo di apprendimento.
È opportuno quindi rianalizzare i modelli alla luce delle variabili 'rapporti' e 'contenuti' (tav. 2).

(a) La formazione-prodotto si caratterizza per rapporti fortemente ruolizzati. 
Nessuna interazione è possibile fra formatore e utente e una irreversibile dipendenza fissa l'utente al formatore, che è il vero attore sia del processo di formazione che di quello di apprendimento. Il formatore si presenta come l'unico depositario di una verità assoluta e non smentibile. La completa passività dell'utente espropria il soggetto dell'apprendimento del suo diritto-potere di apprendere, relegandolo al ruolo di semplice oggetto inerte. I contenuti sono predefinibili e a pacchetto. Erogati dall'alto, calano sull'utente senza subire modifiche e adattamenti. Il formatore non li interpreta, ma li trasmette fideisticamente. Sono astratti e/o generalizzati, tesi a rassicurare e confermare l'esistente. Non esiste né dialetticità né criticità. Il fine è una formazione conformizzante e integratrice.

(b) La formazione-servizio conserva una forte ruolizzazione di rapporti, ma consente una interazione debole formatore-utente e una più intensa formatore-committente. Scompare la figura del formatore-Verbo, ma compare al suo posto quella di 'esperto'. Ciò stabilizza una situazione di dipendenza utente-formatore, che impedisce all'utente di rapportarsi in libertà e responsabilità. L'apprendimento rimane monopolio del formatore, che lo gestisce pseudopartecipativamente e secondo modalità spesso manipolatorie. I contenuti, anche se personalizzati, sono predefiniti e scarsamente incisivi. Debolmente problematizzati, vengono presentati come difficilmente smentibili. Il risultato è una formazione poco criticizzante, asettica, omogenizzante. Il cambiamento promesso è più nominale che sostanziale.

(c) La formazione-processo mostra una tendenza a 'sciogliere' i ruoli per far affiorare i soggetti. Le interazioni dell'insieme relazionale (formatore-utente-committente) sono massimizzate. Al rapporto di interdipendenza formatore-utente subentra un modello intersoggettivo' (1). Il formatore si pone come agen-te-facilitatore del processo educativo, ma la sua messa in gioco è tale da consentire, in prospettiva, una degenerazione del ruolo e il suo 'passaggio' al soggetto utente. Processo formativo e processo di apprendimento si dissolvono così l'uno nell'altro. Il destinatario della formazione si riappropria del ruolo di agente di apprendimento, in grado di gestire in prima persona il 'suo' processo di cambiamento.
I contenuti sono codeterminati e coamministrati in funzione della situazione formativa nel suo complesso. Dialettica a problematicità li rendono attivamente e positivamente conflittuali e innovativi. Ne deriva una formazione concretamente impostata a cambiamento e creatività.


(4) - Ruolo di formatore e matrice degli stili di formazione
Modelli formativi e ruolo del formatore sono ovviamente interdipendenti. Una loro significativa correlazione tuttavia, presuppone un'analisi minima delle componenti autonome che concorrono a individuare lo specifico ruolo del formatore nel suo esplicito svolgersi. Recuperando l'ottica sin qui seguita per esaminare le differenti concezioni formative in funzione delle variabili 'rapporti' e 'contenuti', è possibile identificare il ruolo del formatore nel prodotto dell'azione di due atteggiamenti distinti: il modo in cui viene vissuta la relazione con l'utente e il tipo di posizione assunta nei confronti dei contenuti oggetto del processo formativo.
Per ognuno di questi due livelli possono distinguersi due dimensioni: il loro incrocio offre una matrice di quattro differenti schemi comportamentali, ovviamente astratti ed estremizzati, ma comunque orientativamente utilizzati e utilizzabili come riferimento operativo nelle specifiche situazioni di formazione.
• Una prima coppia dimensionale, legata al modo di rapportarsi all'utente, è data dal binomio 'indifferenza-partecipazione'. Con essa viene indicato il grado di coinvolgimento-empatia denunciato dal formatore nella relazione col soggetto in formazione.
• La bipolarità 'acriticità-problematicità', invece, si riferisce al grado di flessibilità-relatvizzazione con cui vengono tradotti e presentati i contenuti formativi.

Dall'intreccio matriciale discendono quindi i seguenti stili:
° acritico-indifferente
° acritico-partecipativo
° problematico-indifferente
° problematico-partecipativo.

(a) - Lo stile acritico-indifferente può essere reso dalla formula 'ti indottrino'. 
La sequenza logica che lo supporta è: (1) la verità è questa; (2) pensala come vuoi, ma credici. Il che, tradotto in altri termini, significa l'attribuzione al formatore della figura magico-divina di misura del tutto.
La correlazione con il modello di formazione-prodotto, essenzialmente autocentrata, è evidente.
(b) - Il secondo stile, acritico-partecipativo, denuncia un orientamento tra il paternalismo e il manipolatorio. La formula che lo qualifica può essere: 'ti porto la salvezza'. C'è un tentativo di comprendere l'altro, ma manca qualunque seria volontà di dialettizzare rapporto e contenuti. In definitiva, il formatore, se non è la misura, rimane il centro delle cose. Il modello di formazione più funzionale è quello di formazione-servizio, in cui la centratura sull'utente è strumentale e le interazioni dell'insieme relazionale sono deboli e scarsamente genuine. Anche il modello di formazione-prodotto, tuttavia, può essere richiamato nel momento in cui si voglia mitigare il clima pesante in esso diffuso dalla dominanza del ruolo del formatore nel suo rapporto con l'utente.
(c) - Lo stile problematico-indifferente si interroga sui contenuti. L'assunto è: la verità non esiste. Il messaggio implicito: 'cercati una soluzione per conto tuo'. Il for­matore rifiuta il ruolo paterno-materno di chi dà 'la' ri­sposta, ma sfugge al rapporto con l'utente, che viene la­sciato solo e senza gli strumenti necessari per recupera­re una verità anche solo parziale e provvisoria.
Il modello di riferimento è la formazione-servizio: la messa in causa dei contenuti, infatti, è solo apparentemente dialettica. In realtà, la problematizzazione - peraltro non sempre rigorosamente condotta - è 'già-progettata', fa parte del 'pacchetto', quindi è prevista e, al limite, assolutizzata al pari della verità-dogma presentata nel modello classico di formazio­ne-prodotto.
(d) -Lo stile problematico-partecipativo tenta la massi­ma dialettizzazione sia del rapporto con l'utente che dei contenuti. A differenza dello stile precedente che arrivava a dommatizzare che 'la verità non esiste', questo ci aggiunge un 'forse'. Ma l'utente, che a que­sto punto si riappropria del ruolo di coagente del processo di formazione/apprendimento, non è ab­bandonato a se stesso: la soluzione, se esiste, va cerca­ta e confrontata insieme.
Il modello, evidentemente, è quello della formazione processo: cioè di un discorso continuamente sperimentato e verificato, costruito momento per momen­to in funzione delle esigenze della situazione di formazione, con i tempi e i modi da questa richiesti.
(5) - Modelli di apprendimento
Si è detto che la relazione formatore-utente è influen­zata, oltre che dal modello di formazione all'interno del quale si va a collocare il formatore con il suo ruo­lo, anche dal modello di apprendimento, che della concezione formativa rappresenta un po' lo specchio. Conviene pertanto spendere qualche parola su que­sto punto.

Pensiamo di poter distinguere due modelli: il primo lo chiameremo chiuso, o passivo, il secondo, aperto, o attivo (Tav. C).


(a) - Il presupposto su cui si determina il primo model­lo, detto chiuso, è chiarito dalla seguente sequenza logica: (1) io non so; (2) tu sai; (3). dammi il sapere.
In questa prospettiva, il sapere è un prodotto - un 'dato' - che esiste, a priori, al di fuori di me: per aver­lo, debbo semplicemente lasciarmelo 'fluire' addos­so. L'equazione illusoria 'tuo'-sapere-eguale-sapere in assoluto istituisce un apprendimento per scarto: non so perché so 'meno' di te, se tu mi 'riempi', sa­prò. Il soggetto del processo di apprendimento si passivizza al punto da divenirne oggetto. Non sono io che apprendo, ma sei 'tu' che mi 'fai' apprendere. Scompare ogni responsabilità e il rapporto formato­re-utente si blocca in una dimensione irrelata e adia­lettica. Tu decidi il mio apprendimento, io non c'en­tro: quando tu lo dirai, l'apprendimento sarà realizza­to, appunto 'con-cluso'.
(b) - Il secondo modello si contrappone punto per pun­to al primo. È detto aperto perché in divenire. Se lo volessimo simbolizzare, potremmo raffigurarlo come un angolo a quarantacinque gradi. 
L'assunto che lo caratterizza è dato dal seguente schema: (1) io so alcune cose; (2) tu sai altre cose; (3) io utilizzo il tuo sapere; (4) tu utilizzi il mio sapere; (5) per imparare un nuovo sapere. 
Connotato strutturale, la dialettica formatore-utente. È l'utente che decide e pilota il suo apprendimento, attraverso un'interazione attiva, criti­ca e conflittuale, con l'altro soggetto del rapporto. Il sapere non diffonde alcun alone magico, non è un apriori e non esiste personalizzato in nessuno: non si travasa ne si vende, ma si costruisce pezzo per pezzo in un processo a tempo indeterminato di cui tutti, in vario modo, sono primi e unici responsabili,
Traspare evidente, da quanto sopra detto, la corri­spondenza con i modelli formativi già descritti. Formazione-prodotto e formazione-servizio, per il tipo di rapporto che vengono a instaurare con l'utente, promuovono un apprendimento sostanzialmente passivo, quindi chiuso; una formazione intesa come processo, invece, ben si attaglia ad un modello di ap­prendimento aperto e attivo.



(6) - Interdipendenza e intersoggettività nel rapporto formatore-utente
È ora possibile focalizzare l'attenzione sul rapporto formatore-utente. I vincoli impostigli dal diverso atteggiarsi dei modelli formativi e di apprendimento ora analizzati - oltre che dal concreto esplicitarsi del ruolo del formatore in funzione sia delle sue caratteristiche interne che delle differenti concezioni formative - conducono al determinarsi di due possibilità contrapposte.
La prima si riconduce ad uno schema relazionale detto di interdipendenza, la seconda si muove in una prospettiva di intersoggettività (Tav. D).


(a) Parliamo di interdipendenza quando in un rapporto i poli sono reciprocamente allacciati in un meccanismo di vicendevole condizionamento. Io ho bisogno di te, ma tu hai bisogno di me; io chiedo aiuto a te, ma tu hai bisogno dell'aiuto che io ti chiedo. Tu esisti in quanto io dipendo da te: la mia dipendenza ti è necessaria come tu sei necessario a me per esistere. Se io chiedo, tu devi rispondere; se io rispondo, tu devi chiedere. Il sistema è chiuso e bloccante: dominano i ruoli e i comportamenti predefiniti. Io non reagisco a te come soggetto libero, ma a te-che-sei-una-certa-cosa o devi-fare-una-certa-cosa; e viceversa. Nel rapporto formatore-utente, nella misura in cui i soggetti che ricoprono i ruoli di formatore e utente 'si comportano appunto da' formatore e utente, perdono la dimensione soggettiva, fissandosi in un legame di necessità. Io 'debbo' fare l'utente, tu 'devi' fare il formatore. La distribuzione delle parti impedisce il coinvolgimento: sono i ruoli che parlano e agiscono, non le persone. E poiché i ruoli sono 'dati', cioè generati e definiti al di fuori della specifica situazione di formazione/apprendimento, la relazione formatore-utente è recitata con 'addosso' la maschera comportamentale che è prodotto dei modelli rispettivamente di formazione e di apprendimento culturale prevalenti in quel momento storico. Il che significa, almeno per l'oggi, una relazione rispettivamente gestita da parte del formatore secondo un'ottica di formazione autocentrata (formazione-prodotto o servizio) e subìta da parte dell'utente secondo uno schema di apprendimento chiuso e passivizzante.

(b) L'intersoggettività, invece, nasce nel momento in cui cadono i ruoli e divengono protagonisti i soggetti. Il legame non viene meno, solo non subisce la riduzione operata dalla reciproca dipendenza. Al posto della necessità, subentra la libertà. I soggetti sono liberi di rapportarsi come credono. Si è come si vuole essere e non come si dovrebbe: l'unico vincolo è lo stare-in-relazione rispettando l'autonomia dell'altro; all'interno di questo limite, ogni scelta è possibile. Vissuta nell'ambito del rapporto formatore-utente, la prospettiva dell'intersoggettività spacca e spazza i ruoli consentendo ad ognuno di offrirsi all'altro dialetticamente e al meglio della propria ricchezza e potenzialità. Il formatore può essere attivo e/o passivo come gli suggeriscono - non: gli impongono - le circostanze, al pari dell'utente. Processo di apprendimento e processo di formazione si fondono e alternano in un gioco di libero cambiamento. Formazione-processo e apprendimento aperto sono i modelli di riferimento teorico-operativi che meglio si sposano con un tale approccio (Tav. E).



(7) - Possibilità di un rapporto intersoggettivo
In astratto, le due modalità, interdipendenza e intersoggettività, hanno pari probabilità di essere sperimentate. In concreto, la prima è quella più diffusamente operante. La ragione, intuibile, è il filtraggio, all'interno della relazione formatore-utente, dello stesso modello relazionale che, almeno nel contingente sistema politico economico culturale che ci è dato di vivere, appare di gran lunga vincente. Lo schema di rapporto interdipendente è infatti lo schema di rapporto che ogni situazione educativa, progettata o no, inocula e coltiva in ognuno di noi dal momento della nascita. La riproduzione e l'istituzionalizzazione dei ruoli madre/figlio in ogni possibile contesto rappresenta la tendenza dominante.

Non si spiegherebbe altrimenti, infatti, come, al di là di controtendenze che faticosamente fermentano nella presente realtà socio-culturale, i valori ancora sostanzialmente consolidati siano riconducibili a bisogni di riconferma dell'esistente, resistenza al cambiamento, paura del rischio/ responsabilità, incapacità di gestire il conflitto. Più specificamente, per quel che concerne da vicino la relazione formatore-utente, è forse possibile isolare come più significativi fattori di 'coltivazione' di un modello di interdipendenza, un bisogno di gratificazione/dominanza, del formatore, e un bisogno di dipendenza unito a incapacità di autonomia, scarsa fiducia in se stessi, soggezione al fascino dell'esperto, traducibile in una posizione di passività, da parte dell'utente.

Se quanto sopra detto ha un minimo di fondamento, è a questo punto che si pone il problema di come forzare il quadro.
Intersoggettività nel rapporto formatore-utente, formazione-processo, apprendimento aperto, o attivo, sembrano proporsi come le linee di tendenza attraverso cui debba passare un corretto e genuino discorso di formazione, cioè di cambiamento. 
Esplorare le possibilità offerte da una strategia che modifichi lo stallo in cui viene a chiudersi un rapporto formatore-utente inquinato dal prevalere dei ruoli, e dunque della reciproca dipendenza, costituisce pertanto una necessità.
Ma prima di misurare in concreto i margini di azione lasciati disponibili all'interno dello spazio delimitato dalla relazione formatore-utente, è forse opportuno interrogarsi sullo 'spessore' dei vincoli sin qui analizzati - modelli di formazione e di apprendimento - allo scopo di stimare più realisticamente le probabilità di inversione del trend in atto.

Per i modelli di formazione pare risaltare la determinazione economica. Non abbisogna di eccessive argomentazioni di supporto dichiarare che una formazione di tipo processo mal si concilia con un orientamento violentemente indirizzato al profitto. Fino a che il fattore economico detterà il segno ai nostri principali comportamenti, è difficile pensare a modalità formative non centrate sul 'prodotto' formazione comunque inteso, progettato e venduto. Un approccio di diverso tipo, infatti, richiederebbe tempi e investimenti il cui ritorno, in termini economici, solo raramente potrebbe ripagare.

Matrice essenzialmente culturale sembra invece all'origine del modello di apprendimento. Già si è accennato alla concezione relazionale di interdipendenza che pare informare ogni iterazione sperimentabile nel micro e macro ambiente in cui il rapporto stesso formatore-utente è inserito. È solo un semplice corollario di ciò la passivazione del soggetto anche nel momento in cui questo è collocato entro un processo di apprendimento. Benché possa sembrare paradossale, è dalla nascita che apprendiamo che l'unico modo di apprendere è di lasciar fare ad altri. 

Determinante economica per il modello di forma¬zione e determinante culturale per quello di apprendimento confluiscono entrambe nella determinante politica.
Evidentemente, formazione commerciale da una parte e apprendimento passivizzante dall'altra sono possibili in quanto esiste un certo tipo di organizzazione e gestione del potere: sono congruenti e funzionali con un preciso modo di essere dell'intero sistema politico.
Porsi il problema di una loro trasformazione - che sia sostanziale cambiamento e non semplice razionalizzazione del presente - significa dunque salire su un terreno che sovrasta di parecchio la 'piccola' problematica del rapporto formatore-utente. Misurare la dimensione macro dei condizionamenti sopportati dalla relazione che qui ci interessa, non significa tuttavia gettare la spugna. Riservando al lungo periodo una strategia che attacchi alla radice i modelli prevalenti, è forse possibile tentare operazioni meno appariscenti ma, al limite, più incisive, proprio nel microambiente definito dal sistema relazionale formatore-utente.
Per far questo, però, occorre spendere qualche parola sull'elemento strutturale che caratterizza un rapporto di tipo intersoggettivo: il rischio (Tav. F).



(8) - Il rischio formativo
Il rischio è la componente base, la condizione necessaria, perché vengano posti i fondamenti di una formazione-processo e di un apprendimento attivo. In definitiva, la premessa senza la quale il cambiamento prodotto rimane semplicemente un nome. La sua assunzione deve avvenire da parte di ambedue i soggetti - formatore e utente - e deve essere la risultante di un processo di presa di consapevolezza che ognuno di essi, per la responsabilità che gli compete, deve poter compiere. Ma vediamo meglio come e su cosa deve esplicarsi la presa di coscienza e in cosa più esattamente consiste il rischio.

Presa di coscienza, sia per il formatore che per l'utente, può significare prima di tutto consapevolezza di quanto sin qui sviluppato: dei condizionamenti messi in luce e delle concrete implicanze, sul piano comportamentale e dei risultati, dei modelli analizzati.
Più specificamente, possono costituire stimolo di riflessione del formatore la natura del modello formativo entro il quale egli è situato e la modalità di essere e rapportarsi all'utente da lui scelta o subita nella particolare situazione di formazione. Solo infatti un atteggiamento pedagogico non oggettivante o manipolatorio può impedire che l'altro polo del processo si deresponsabilizzi sotto il peso di un ruolo sofferto passivamente, vietandosi così un libero accesso ad un apprendimento innovativo.
Può rappresentare invece un utile impulso al processo di responsabilizzazione dell'utente il considerare l'interazione fra modello di apprendimento e modello di formazione concretamente giocato nella particolare situazione, nonché la specifica posizione dall'utente stesso assunta all'interno del rapporto di apprendimento instaurato. Non vanno inoltre dimenticati una serie di aspetti quali: il grado di autodeterminazione goduto (ossia lo spazio di manovra disponibile per dire sì o no al progetto di formazione-apprendimento che lo riguarda); il grado di bisogno manifestato (accoppiato alla effettiva capacità del progetto di saturarlo); il grado di fiducia riposto negli obiettivi, nel formatore, nel progetto; il grado di investimento (cioè di implicazione) psichico, fisico, economico-finanziario, legato al progetto stesso. È solo un'esplorazione indirizzata agli elementi sopra considerati, infatti, che può consentire all'utente di valutare fino in fondo la funzionalità ai suoi bisogni e ai suoi interessi del processo di cui è soggetto, e quindi di aver in ogni momento sotto controllo la 'direzionalità' di quanto avviene, allo scopo di garantirsi un apprendimento il più possibile autodeterminato.
Trovare risposte precise ai punti sopra accennati è il metro migliore per stimare i rischi impliciti nella relazione che ci interessa.
• Per il formatore, infatti, il primo rischio possibile è rappresentato dall'accettare la dipendenza dell'utente - e quindi anche la sua da lui - rinunciando in tal modo all'opzione pedagogica, per lui fondamentale. D'altra parte, la gestione di una modalità intersoggettiva può portare, nel caso sia lui a proporla, al rifiuto-emarginazione dell'utente, deluso nelle sue aspettative di dipendenza; e qualora sia invece l'utente a suggerirla, alla rinuncia del ruolo gratificante di potere connesso con l'esercizio di una modalità di interdipendenza.
• Per l'utente, di converso, il rischio più rilevante è quello di accettare una dipendenza che gli neghi il di-ritto-potere di apprendere, dunque lo scopo stesso del suo 'essere' nel processo di apprendimento. Gli altri pericoli sono legati alla scelta di una modalità in-tersoggettiva: di essere rifiutato-emarginato, qualora sia lui a proporla, perche non soddisfa le aspettative di dominanza del formatore; oppure di dover rinun¬ciare ad un comodo ruolo di dipendenza, qualora sia il formatore ad accettare un rapporto privo di ruoli.

(9) - La responsabilità del formatore
Il discorso potrebbe forse trovare qui una sua conclusione. Ma la strategia racchiusa nella formula 'presa di coscienza-assunzione di rischio' non è probabilmente in grado di garantire un sicuro antidoto alle caricature dei processi di formazione e apprendimento spesso in atto. Ogni volta che si parla di presa di coscienza, infatti, si corre il pericolo di cullarsi nella speranza di aver trovato la chiave magica del cambiamento. In realtà, se non ci si interroga sulla 'possibilità vera' che tale presa di coscienza ha di compiersi - sui fattori strutturali che la frenano o la impediscono - si cade nell'appello volontaristico vuoto e predicatorio.
Fermo restando il richiamo alla dimensione politica sopra fatto - con tutto quanto concerne i 'pesi' gravanti sulla relazione formatore-utente - conviene quindi domandarsi: quali concreti margini hanno formatore e utente nel loro rapportarsi di modificare il reciproco essere e agire secondo modalità più fun¬zionali, in definitiva, ai loro stessi interessi? Esistono spazi diversi a disposizione dell'uno o dell'altro? In altre parole: chi, tra i due, è più libero di prender coscienza e affrontare i rischi descritti?
Se non si vuole operare una grossolana mistificazione, accomunando in un unico destino soggetti con forze diseguali, credo si debba ammettere che il compito-dovere di affrontare con maggior impegno il problema spetti a chi ricopre il ruolo di formatore. Ciò, almeno, se è vero, come abbiamo sostenuto, che i modelli culturali (oltre che politici ed economici) oggi dominanti, individuano nel formatore una posizione attiva e nell'utente una posizione passiva. È il formatore che, proprio perché costretto professionalmente a recuperare un ruolo pedagogico oggi mortificato e mistificato, può ritrovare gli strumenti per spaccare il laccio ruolizzante della reciproca dipendenza. All'utente spetta, autonomamente, di dare uno sbocco produttivo al disagio che sperimenta, nella misura in cui si interroga sul suo ruolo e scopre che per poter apprendere deve imparare ad apprendere. Ma poiché i mezzi concreti che gli permetterebbero di accedere finalmente al nuovo statuto di 'agente di apprendimento' sono altrove, gestiti dal potere istituzionalizzato del formatore che lo sovrasta, sarebbe ingiusto non sottolineare la sperequazione di possibilità in campo.
In fin dei conti, è il formatore l''addetto' che compie la scelta di lavorare nello specifico dei processi di formazione/apprendimento: appartiene al suo stesso operare chiarire a se stesso il ruolo svolto, la collocazione prescelta, il modello di riferimento teorico-operativo usato. È lui a possedere gli strumenti concettuali, culturali, professionali in grado di indirizzarlo ad un'opzione pedagogica, e non manipolativa, che renda coerente non solo nominalmente il dichiarato e l'effettivo - l'insegnare e l'insegnato. Non può accontentarsi di passare contenuti senza curarsi della relazione con l'utente: glielo suggerisce non un invito moralistico, ma il suo stesso voler insegnare. Può apparire assurdo: ma solo nella misura in cui l'utente sa apprendere il formatore è in grado di insegnare, e perché l'utente sappia apprendere deve poter liberamente decidere di assumere 'anche' la posizione attiva appannaggio del formatore. Il che vuoi dire che lo stesso ruolo di formatore, in prospettiva, deve venire distrutto.
In fondo, l'opzione pedagogica implica la capacità/necessità di gestire un dramma paradossale: posso realmente insegnare in tanto in quanto perdo il mio ruolo di insegnante e lascio a chi apprende il ruolo di chi decide, oltre che del suo apprendimento, anche del mio insegnare.
La libera attivazione e/o passivizzazione dei due soggetti del rapporto è l'unica soluzione che, spaccando i ruoli, e quindi uccidendo formatore e utente, sia in grado di sviluppare in positivo un genuino processo sia di formazione che di apprendimento.
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(1) Vedi la problematica dell'intersoggettività trattata da S. Montefoschi, L'uno e l'altro, Milano, Feltrinelli, 1977.

*** Massimo Ferrario, La relazione formatore-utente in rapporto ai modelli di formazione e di apprendimento. Appunti per un'analisi, 'Impresa e Società', n. 10, 31 maggio 1983

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