(...) La nostra società intontita dal benessere, inebriata dal più folle dei narcisismi, ha eliminato dal suo orizzonte l’infanzia. Abbiamo smesso di fare figli e quei pochi che vengono al mondo, da subito li trattiamo come adulti onniscienti. Abbiamo smesso di educare e, smettendo di farlo, abbiamo rinunciato alla nostra umanità. Per educare bisogna essere convinti che ci sia una direzione verso la quale andare; se questa direzione è assente, se la nostra vita altro non è che un pascolo errabondo, il mondo sarà sempre più sotto il dominio di ciò che sonnecchia nel fondo di tutti noi: la ferinità. È bello battere le mani, è bello cantare dai balconi dicendosi che andrà tutto bene, ma un bene senza una radice nel Bene viene spazzato via come una foglia secca al primo refolo di vento. Senza il bene, non c’è il male; senza il male, non c’è limite. E senza limite, scivoliamo inesorabilmente verso l’Homo homini lupus. (...)
Caro Gesù Bambino, invidiosi di non essere gli artefici e i padroni della vita, abbiamo ridicolizzato l’esistenza dell’anima, del mistero che comunque avvolge l’essere umano nel momento in cui viene al mondo; abbiamo privato i bambini di questa dimensione, abbiamo dato loro scandalo negando l’innocenza, lo stupore, negando l’inquietudine che ci porta a interrogarci; li abbiamo consegnati senza alcun rimorso alla perpetua infelicità insoddisfatta dell’avere, li abbiamo resi fruitori inesausti dell’intrattenimento, trasformandoli in piccoli tiranni senza regno.
La claustrofobica cupezza di un mondo senza etica ci serra il cuore di angoscia. Tutto sembrerebbe perduto, ma tutto perduto non è perché ogni anno tu vieni al mondo e al mondo spalanchi le braccia offrendo a noi la possibilità di un nuovo cammino. Non è così forse per ogni bambino che nasce? La vita porta sempre con sé altra vita mentre la sua negazione ci spinge nei vicoli angusti della morte interiore.
E adesso, caro Gesù Bambino, ecco la mia richiesta. Quello che ti chiedo non è più bontà — il bene è già presente in maniera solenne nel mondo — ma ti chiedo la capacità di riconoscerlo. Per fare questo non abbiamo bisogno che ti carichi un sacco sulle spalle e che trascini il peso di improbabili doni, ma semplicemente che tu benedica i nostri occhi donando loro la gioia liberatoria delle lacrime.
Sì, dovremmo piangere a lungo per tutto quello che abbiamo sprecato, per tutto quello che abbiamo perduto, per le nostre vite di adulti infantili e per quelle degli infanti che, grazie alla nostra immaturità, non potranno mai diventare adulti, per il nostro cuore corazzato dal cinismo in cui la misericordia da troppo tempo non riesce ad aprirsi un varco, per la nostra incapacità di vedere il bello e il bene sparsi ovunque a piene mani, per la nostra cecità predatoria nei confronti del Creato. (...)
*** Susanna TAMARO, 1957, scrittrice, Sotto l’albero vorrei ritrovare l’innocenza, 'Corriere della Sera', 21 dicembre 2020, qui
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