d'osteria.
La strada
era stata lunga.
I sassi.
le crepe dell'asfalto.
I ponti
più d'una volta rotti
o barcollanti.
Avevano
le ossa a pezzi.
E zitti
dalla partenza, cenavano
a fronte bassa, ciascuno
avvolto nella nube vuota
dei suoi pensieri.
Che dire.
Avevano frugato fratte
e serpeti.
Avevano
fermato gente - chiesto
agli abitanti.
Ovunque
solo tracce elusive
e vaghi indizi - ragguagli
reticenti o comunque
inattendibili.
Ora
sapevano che quello era
l'ultimo borgo.
Un tratto
ancora, poi la frontiera
e l'altra terra: i luoghi
non giurisdizionali.
L'ora
era tra l'ultima rondine
e la prima nottola.
Un'ora
già umida d'erba e quasi
(se ne udiva la frana
giù nel vallone) d'acqua
diroccata e lontana.
*** Giorgio CAPRONI, 1912-1990, poeta, critico letterario, L'ultimo borgo, da Il franco cacciatore, 1982, Garzanti, 1995, anche in 'Poesia', n. 356, febbraio 2020
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