martedì 11 giugno 2019

#MOSQUITO / L'inimicizia come spirito del mondo (Luigi Pintor)

Come da un osservatorio astronomico si guarda il cielo, così dalla mia postazione mi affacciavo su un grande scenario e credevo di partecipare al moto degli astri mentre sedevo a una macchina da scrivere. Era un tempo in cui le passioni oscuravano lo spirito critico e in cui capitava di confondere la passività con l'azione. Ma erano passioni sincere, nobilmente iscritte nella gigantesca cornice della storia, dello scontro di opposte civiltà, del conflitto incomponibile tra le classi.

Era semplice e giusto stare da una parte. Raggiunsi un giorno con mezzi di fortuna una campagna dove due braccianti erano morti due giorni prima uccisi dal fuoco della polizia, con una brutalità frequente in quel tempo. In una stanza simile a una grotta imbiancata i corpi erano vegliati da donne in pianto, avvolte in scialli neri come le mie zie e cugine sarde. Non ci fu per me una grande differenza tra quello spettacolo e la memoria ancora viva della guerra, nessuna differenza tra i colpevoli altolocati di quel delitto di paese e la filosofia del privilegio che aveva incendiato il mondo. Non era quello un episodio ma un simbolo. Ci sono due mondi, quei morti appartenevano al più degno ed erano miei fratelli.

Era giusto stare da una parte anche quando non era così semplice. Feci un altro viaggio nell'oriente leggendario dove uomini inferiori, soldati e operai, avevano vinto la loro rivoluzione, per la prima volta nei millenni. Più di altri cattivi segnali, che imputavo alla durezza della storia, mi colpì che nelle strade di quelle città le prostitute si scaldassero al fuoco come nelle nostre periferie. Non mi meravigliò che la gente fosse rimasta in povertà ma che avesse dimenticato la fraternità. Non cesserò di pensare che i mondi sono due ma imparerò che la linea divisoria non è segnata su nessun atlante e passa fin dentro il cuore dell'uomo. Stare da una parte diventerà più complicato ma più necessario.

Era giusto stare da una parte anche là dove la linea divisoria si assottiglia fino a scomparire, nelle fredde istituzioni dove il potere celebra se stesso, aule e palazzi fastosi dove i passi girano in circolo su percorsi ciechi, le immagini si inseguono in un gioco di specchi, le parole sono ovattate e i pensieri ignorano la verità. Qui, dove mi portava il lavoro quotidiano, era facile smarrirsi, qui i due mondi si confondono in quello peggiore e stare da una parte è un giuramento da ripetere ogni giorno.

Con grandissimo ritardo ho capito che le nostre lenti erano deboli e i nostri strumenti antiquati, e che osservare un grande scenario non vuol dire conoscerlo e tanto meno influenzarlo - così come accalorarsi per una competizione elettorale non equivale a prendere d'assalto la Bastiglia. E ancor più letteralmente mi sono accorto che lo scenario era mutato attorno a me, di pari passo con la mia età, in modo assolutamente imprevisto.

Lungo un quarto di secolo era mutato il rumore delle strade, il linguaggio delle persone, il valore delle cose, l'umore dei giovani, il passo delle donne, non solo nei grandi continenti ma nella stanza accanto, tra le pareti di casa. Era cambiato tutto meno la cosa che decide di ogni altra, l'inimicizia come spirito del mondo.

*** Luigi PINTOR, 1825-2003, giornalista, saggista politico, Scenario, capitolo da Servabo, Bollati Boringhieri, 1991 (anche in 'fondazionepintor', qui)


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