giovedì 7 settembre 2017

#LIBRI PIACIUTI / "Patria", di Fernando Aramburu (recensione di M. Ferrario)

Fernando ARAMBURU
"Patria"
2016, Guanda, 2017
traduzione di Bruno Arpaia
pagine 623, € 19,00, ebok € 10,99

Una storia potente, un libro attuale e necessario
La maggior parte della critica ha gridato al capolavoro. Da semplice lettore, per quanto abituato a muovermi tra le pagine di romanzi e saggi e poco incline alle facili suggestioni, concordo pienamente.

Il lungo racconto dello spagnolo Fernando Aramburu ('Patria'), uscito l'anno scorso in Spagna e subito diventato un caso letterario, anche per la particolare tematica storica in cui è collocata la vicenda (l'Eta e la lotta terroristica per l'indipendenza del popolo basco), si impone per potenza di trama e fascino di scrittura, profondità psicologica dei personaggi e attenzione partecipe alla vita minuta di una comunità spaccata dal conflitto etnico.

Due famiglie, in un piccolo paese alle porte di San Sebastàn, sono al centro della vicenda e intrecciano per tutto il libro le loro vite, segnate dall'azione terroristica del figlio di una di loro. E due donne, in particolare, all'inizio affratellate da una amicizia che pareva totale e indissolubile, fanno da filo conduttore ad una storia che si snoda dentro uno scenario corale, fitto di figure seguite con affetto, scolpite con precisione e illuminate da lampi di prosa poetica semplice, genuina, mai d'effetto.

Il tema è la tragedia di una guerra identitaria, che con l'azione terroristica non solo fa morti, ma distrugge relazioni e sentimenti, contrapponendo appartenenze, inoculando odio e rancore, favorendo conformismo e vigliaccheria. Le oltre seicento pagine del romanzo sono tutte indispensabili per costruire la complessità dell'affresco e scorrono facili, percorse da una grazia di stile che le rende leggere: è garantito il coinvolgimento, teso a scoprire lo sviluppo dei fatti e a partecipare alla vita intrecciata dei personaggi, ma è assicurata anche la riflessione su come sia facile distruggere vite umane e legami consolidati, seguendo ideologie vuote e slogan semplicistici, e su quanto sia impegnativo tentare una ricostruzione quando la lacerazione sia avvenuta.

Un libro non solo letterariamente seducente, ma attuale e 'necessario' per l'interrogazione di fondo che pone, prendendo spunto dalla questione basca: e ne è conferma il fatto che in Spagna l'autore ha raccolto applausi, ma ha anche sollevato polemiche. Benvenute e salutari: perché è impossibile sfuggire alla richiesta, implicita nel romanzo e valida per qualunque contesto (o 'patria'), di guardare in faccia la sofferenza che alcuni uomini, facendosi prima portatori e poi finendo prigionieri di visioni astratte, possono infliggere ad altri, sia uccidendo i corpi, sia (forse, soprattutto) ferendo e sconvolgendo irrimediabilmente le anime dei sopravvissuti.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura
https://es.wikipedia.org/wiki/Fernando_Aramburu

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Erano comparse delle scritte sui muri. Una fra le tante: TXATO TXIBATO, Txato spia. Per la rima, suppongo, ma serviva a diffamare e a fare paura. Tizio fa un poco, Caio un altro poco e, quando succede la disgrazia che hanno causato tutti insieme, nessuno si sente responsabile perché, alla fin fine, io ho soltanto fatto una scritta, io ho soltanto rivelato dove abitava, io gli ho solo detto qualche parola, magari offensiva, però, senti, sono soltanto parole, rumori effimeri nell’aria. Dalla sera alla mattina molta gente del paese aveva iniziato a negargli il saluto. Il saluto? Sarebbe stato chiedere troppo. Perfino gli sguardi gli negavano. Amici di una vita, vicini, anche qualche bambino. Cosa ne sapranno quegli innocenti? Ma è chiaro, a casa ascoltano le conversazioni dei genitori. Aveva incrociato Arantxa per strada. E niente voce bassa. 
A voce bella alta l’aveva detto. Chiunque fosse stato lì vicino avrebbe potuto sentire. «Quello che vi stanno facendo è una carognata e io non sono d’accordo.» (Fernando Aramburu, "Patria", 2016, Guanda, 2017)


Per le altre azioni doveva fare mente locale. Di quelle dell’inizio ha dimenticato molti particolari. Erano stati semplici lavoretti: un paio di danneggiamenti, una rapina. Quella del bar, invece, ce l’ha molto presente. Non per il tipo. Del tipo non gliene fregava niente. A me danno l’ordine di giustiziare tizio e io lo giustizio chiunque sia. La sua missione non era pensare né sentire, ma eseguire ordini. Questo non lo capiscono quelli che poi criticano. Soprattutto i giornalisti, mosche appiccicose in agguato ad aspettare l’occasione di chiedere se uno si è pentito. Un altro paio di maniche è quando se lo chiede lui stesso, da solo nella cella. Lo assalgono, certi giorni, raffiche di sconforto. Sempre di più. Cazzo, è che sono dentro già da un casino di anni. (Fernando Aramburu, "Patria", 2016, Guanda, 2017)

A trentasette anni si sentiva un fiore appassito. Cosa poteva offrire? Ovviamente, amore. Quello, sicuro. Ma se per Xabier erano più importanti altri desideri (avere dei figli, per esempio), vedeva difficile che lui potesse essere felice accanto a lei. Quel timore le rovinava le giornate, l’accompagnò a Roma, saltò di nuovo fuori là sotto. Dove? Sul vialetto che costeggia il Tevere. Si sedettero su una sporgenza del muro che sembrava una lunga panchina. Al sole. Avevano appena pranzato. E la corrente scorreva tranquilla e torbida. Di colpo, un sasso trovato a terra ispirò a lui una sfortunata/puerile idea. 
«Se riesco a lanciarlo sull’altra sponda vuol dire che niente e nessuno potrà separarci.» 
«Lascia stare, per favore. È meglio non sfidare il destino.» «Dubiti della mia forza?» 
«No, ma il fiume è piuttosto largo.» 
«Dai, su.» Si tolse la giacca. Quel petto, quella schiena, sono larghi, ma la giovinezza è passata. Non se ne rende conto? Prese, lui, uomo così giudizioso, così medico e così ragionatore, la rincorsa e scagliò il sasso con grande potenza e desiderio maschile di impressionare la femmina. Il sasso partì sparato a enorme velocità nell’aria chiara del primo pomeriggio. I due seguirono l’arco della sua traiettoria con lo sguardo. Il sasso, appena un punto nero che si allontanava, iniziò a cadere e cadde, glup, in acqua. 
«Be’, era solo un gioco.» (Fernando Aramburu, "Patria", 2016, Guanda, 2017)
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