Voler liberare a ogni costo l’uomo, e il pianeta, dalle sue zone oscure, selvatiche, ucciderebbe semplicemente la vita. Come scrisse il poeta americano William Stafford: «Se purifichi lo stagno, le ninfee muoiono» (If you purify the pond, the water lilies die).
La Terra, teatro della vita dell’uomo e rappresentazione della sua psiche (oltre che del suo corpo), ha i suoi stagni oscuri, le sue foreste impenetrabili. Certo possiamo “purificarle”, schiarirle, trasformarle in piantagioni di gomma per la Pirelli, in piscine disinfettate o in quartieri residenziali. Ma «le ninfee muoiono» (the water lilies die). E una vita senza un fiore spontaneo non può più essere vissuta da un ente “naturalmente” programmato per l’autentica bellezza, com’è l’essere umano. Per questo l’essere umano è sempre meno interessato, “portato” alla vita. I ragazzini si uccidono in tenera età. I “prestigiosi” quartieri residenziali che abbiamo costruito, anche per loro, al posto degli ombrosi e inquietanti boschetti preindustriali, ad alcuni fanno venir voglia di spararsi. Purifica lo stagno, e le ninfee muoiono. La difesa del mondo selvatico (quindi anche delle foreste tropicali) dall’attuale tipo di civilizzazione rappresenta un momento decisivo nella sopravvivenza dell’uomo, anche dal punto di vista psicologico.
Come ha osservato l’antropologo Ehrenfried Pfeiffer: «Quando una cultura arriva alla maturità e tende al disfacimento, deve ritornare alla foresta, la fonte della vita, per rinnovarsi. Se una cultura pecca contro la foresta, il suo declino biologico è inevitabile».
*** Claudio RISE', 1939, psicoanalista di matrice junghiana, Il maschio selvatico, 2. La forza vitale dell'istinto maschile, Edizioni San paolo, 2015
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