venerdì 25 novembre 2016

#LIBRI PREZIOSI / "L'autunno della Repubblica", di Maurizio Viroli (recensione di M. Ferrario)

Maurizio VIROLI, "L'autunno della Repubblica"
Laterza, 2016
pagine 304, € 18,00, ebook € 5,99

Recuperare i 'maestri'
Ci sono libri che già dal titolo selezionano il lettore: l''autunno della Repubblica', con la sua evocazione di foglie che cadono e dell'inverno alle porte, difficilmente invoglierà un fan dell'ottimismo a oltranza a spendere qualche ora di sana riflessione sulle ragioni per cui l'Italia da decenni ha perso le speranze della 'primavera' rappresentata dalla caduta del fascismo. 
Se poi al titolo si aggiunge la conoscenza dell'autore, Maurizio Viroli, giornalista, saggista, autorevole docente universitario di scienze politiche negli Stati Uniti, chi si predispone alla lettura di questo volume già pregusta quello che troverà: pensieri fuori dal coro, tanto lucidi quanto impegnativi e senz'altro disturbanti, che ruotano attorno a concetti non proprio alla moda come 'religione civile', 'etica pubblica', 'bene comune', 'governo della legge', 'senso del dovere'. 

E' infatti con questa strumentazione, che ha come comune denominatore una visione appassionata e mai indifferente della res publica, che Viroli, da repubblicano  mazziniano convinto, scorre gli anni che vanno dalla nascita della Costituzione ad oggi, filtrandoli alla luce di una morale civica costruita nel tempo attraverso lo studio rigoroso, quasi filologico, dei tanti 'maestri' che quasi tutti noi abbiamo invece colpevolmente dimenticato (per citarne solo alcuni: Giorgio Agosti, Norberto Bobbio, Piero Calamandrei, Guido Calogero, Benedetto Croce, Alessandro Galante Garrone, Piero Gobetti, Adolfo Omodeo, Ferruccio Parri,  Nello Rosselli, Ernesto Rossi, Gaetano Salvemini, Paolo Sylos Labini...).
Ed è inutile dire che le conclusioni sullo stato del nostro Paese, almeno dal punto di vista delle 'virtù civili', sono quanto mai amare.

Il libro si apre con un capitolo autobiografico, in cui l'autore dà conto di come abbia maturato le sue scelte di studio e di impegno politico, al di fuori dei partiti, ma come intellettuale, prima saggista e poi docente universitario oltreoceano. Sono pagine utili che servono a ricapitolare la sua visione civile, densa di suggestioni che si rifanno ai migliori spiriti del Risorgimento.
I successivi capitoli, invece, riproducono, riassortiti per grandi temi (il repubblicanesimo, la virtù civile, l'amor di patria, l'antifascismo, la Costituzione, la Repubblica corrotta, passato e presente...), i numerosi articoli pubblicati negli anni, come collaboratore prima di 'La Stampa' e oggi di 'Il Fatto Quotidiano'. 

Il taglio giornalistico tiene lontano lo stile accademico, assicura scorrevolezza e mantiene alto l'interesse, ma i temi sono di per sé duri e scomodi e la forte tensione morale con cui vengono trattati accentua il contrasto, spesso desolante, tra auspicato e realtà. 
Viroli non indulge a false speranze e il suo pessimismo è evidente e contagioso. Altrettanto forte, tuttavia, traspare l'invito, almeno per chi ancora non ha smesso di credere nei valori repubblicani a non demordere e a recuperare lo spirito dei tanti che in passato, senza fare vuota retorica, ma anche con comportamenti estremi, hanno dato contenuto a quelle vecchie parole che sono a fondamento di una comunità politica e civile.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura


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Tanto la democrazia quanto il socialismo, a mio giudizio, perdono valore se non traggono ispirazione dal più alto ideale della respublica: la prima degenera in lotta di potere fra partiti corrotti, il secondo in un potere totalitario. 
Tutt’altro discorso meritano il socialismo riformista e soprattutto il socialismo liberale di Carlo Rosselli. L’uno e l’altro hanno con il repubblicanesimo importanti debiti intellettuali. Intendono l’azione politica e sociale come servizio al bene comune, nel rispetto delle libertà civili e politiche; sono pienamente consapevoli che l’emancipazione sociale deve essere sostenuta e ispirata dal riscatto morale, inteso come faticosa conquista di una cultura da cittadini liberi che rispondono soltanto alla propria coscienza e considerano i doveri sociali non come un limite bensì come un arricchimento della loro individualità. Carlo Rosselli, in particolare, capì che il problema della libertà italiana non era questione di istituzioni ma di coscienze, e disegnò il socialismo liberale come teoria di emancipazione sociale e morale. Non ho ancora ascoltato un valido argomento capace di persuadermi che il modo più efficace per rafforzare la libertà in Italia non sia riscoprire, arricchire e mettere in pratica le idee fondamentali di Carlo Rosselli e degli azionisti. (Maurizio VIROLI, "L'autunno della Repubblica", Laterza, 2016)

Il cittadino è un particolare tipo di essere umano che gode dei diritti politici e civili, ha consapevolezza dei doveri che tali diritti comportano e opera in modo coerente con tale consapevolezza. Benché il mero possesso dei diritti civili sia sufficiente per essere cittadino in senso giuridico, non può essere considerato vero cittadino l’individuo che ha poca o nessuna consapevolezza dei doveri civili. Quando e dove esiste, la cultura civica è il risultato di una coscienza che nasce dalla ragione, e di passioni che nascono dal sentire. Il cittadino o la cittadina sanno perché sentono e sentono perché sanno, e il loro sapere e il loro sentire si traducono nel vivere in armonia con i diritti e con i doveri. La consapevolezza e il sapere dettati dalla ragione, da soli, non bastano a operare; il sentire e le passioni, da soli, sono ciechi. (Maurizio VIROLI, "L'autunno della Repubblica", Laterza, 2016)

Il liberale crede che la libertà sia non interferenza, vede sempre nella legge una restrizione della libertà. Per il repubblicano, al contrario, è la legge, e solo la legge, che rende liberi (a meno che non sia legge arbitraria o ingiusta). Il liberale è tanto più contento quanto meno lo Stato interferisce nella sua vita; il repubblicano è ben felice di subire anche interferenze serie, se servono a combattere l’arbitrio. E si potrebbe continuare. (...)
Storicamente, il liberalismo è stato formidabile nel difendere gli individui contro le interferenze dello Stato o di altri individui; molto meno nel raccogliere il lamento dei molti che devono tenere sempre gli occhi bassi o bene aperti per scrutare gli umori del potente che può in ogni momento, impunemente, costringerli a fare quello che lui vuole, dunque a servire. Quando ha voluto farlo, non ha potuto appellarsi al suo concetto di libertà perché questo non glielo consentiva, e ha dovuto prendere a prestito altri ideali, quali la giustizia, o l’eguaglianza (di qui i vari ibridi, peraltro belli: il liberalsocialismo, il liberalismo sociale, «Giustizia e Libertà»). Il repubblicanesimo vuole e può farsi difensore, in nome della libertà, di chi soffre la dipendenza e la dominazione. Vuole essere la nuova utopia, dalle radici antiche, di chi ama la libertà.  (Maurizio VIROLI, "L'autunno della Repubblica", Laterza, 2016, da 'La Stampa', 1 ottobre 1997)
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