Abbiamo dato loro tutto per godere la vita, ma non abbiamo dato loro una ragione per viverla. Abbiamo scambiato la felicità con il benessere, i sogni con i consumi.
Il risultato è una generazione spesso perduta in un deserto di noia, a caccia di oasi di senso, intrappolata in miraggi emotivi necessari a risarcire una profonda solitudine, non quella feconda del poeta che si allontana dal mondo per ritrovarsene poi più innamorato e arricchito, ma quella di chi si sente abbandonato da tutto e di cui io sono testimone quando raccolgo le confidenze di ragazzi che mi conoscono solo attraverso i miei scritti. Allora mi chiedo: ma accanto a loro non c’è nessuno che li osserva? Noto una tendenza alla resa nell’età fatta per l’eroismo; infatti quelli che non hanno ancora rinunciato a lottare sentono fortissimo il dolore di qualcosa che era loro dovuto ma che hanno perduto, senza sapere bene come: una sorta di smarrimento. Eppure questo dolore, se decidono di non ignorarlo o lasciarlo prosperare, è la loro salvezza perché acuisce la sete, le domande.
Una volta un collega mi ha criticato dicendomi: “A scuola bisogna seminare dubbi, non certezze”. Non credo che a scuola l’alternativa sia tra dubbi e certezze, ma tra libertà e schiavitù. Non si tratta di seminare certezze, bensì di incoraggiare l’uso della libertà in direzione di ciò che è vero, bello e buono per ampliare il raggio d’azione del vero, del bello, del buono, le tre cose che rendono una vita appassionata e appassionante. E se non avessimo un minimo di certezze perché insegnare Shakespeare, Omero e Dante? Perché le leggi della fisica? Perché la vita delle stelle e delle cellule? Lo facciamo perché pensiamo che questo serva a orientarsi nel mondo, ad abitarlo, anche quando si fa inospitale.
*** Alessandro D'AVENIA, 1977, insegnante, scrittore, saggista, sceneggiatore, L'arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita, Mondadori, 2016
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