Nell’ultimo ventennio del secolo il Prodotto lordo mondiale (Pil) (Gross Domestic Product - Gdp) è più che raddoppiato, passando dai circa 19 trilioni di dollari del 1980 ai 41 trilioni del 2000 (e nel decennio successivo è ancora cresciuto di un terzo, raggiungendo i 69 trilioni).
Nonostante ciò, lo Human Development Report 2002 delle Nazioni Unite ha affermato ancora che “the level of inequality worldwide is grotesque”, esemplificando questa affermazione con una serie impressionante di dati:
– L’1% più ricco della popolazione mondiale riceve un reddito pari al quello del 57% più povero.
– Il 10% più ricco della popolazione Americana ha un reddito pari a quello del 43% più povero della popolazione mondiale (!). Detto in modo diverso, il reddito dei 25 milioni di americani più ricchi è uguale a quello di circa 2 miliardi di persone.
– Il reddito del 5% più ricco nel mondo è 114 volte quello del 5% più povero.
Il Rapporto delle Nazioni Unite aggiungeva che l’indice di Gini applicato alla dimensione globale è drammaticamente alto, superiore a un coefficiente di 0,65, di gran lunga più elevato del tasso di diseguaglianza interno di qualsiasi paese (il che significa che, nonostante la crescita esponenziale della sua ricchezza complessiva, il “villaggio globale” è molto più inegualitario di qualunque altro “stato nazionale”).
Vale la pena di ricordare che l’indice di Gini si colloca in un range ai cui estremi stanno i valori “0” (corrispondente a una situazione-limite di perfetta eguaglianza, in cui tutte le famiglie o gli individui abbiano esattamente la stessa parte di ricchezza) e “1” (in cui si esprime, invece, la situazione esattamente opposta, in cui tutta la ricchezza sia concentrata in una sola famiglia o persona). Tale condizione è considerata solitamente solo teorica o “di scuola”, sebbene non sia poi così lontana dallo stato sociale del mondo descritto in un precedente Rapporto delle Nazioni Unite sullo sviluppo umano – quello del 1999 –, in cui si segnalava come, dopo un ventennio di crescita “globale”, “gli assets dei primi tre top billionaires” superassero da soli il Prodotto nazionale lordo combinato di tutti “i paesi meno sviluppati con i loro 600 milioni di abitanti”. E come il 20% della popolazione mondiale collocata nei paesi più ricchi si appropriasse dell’86% del prodotto lordo mondiale, mentre al 20% più povero non ne restasse che l’1%.
Lo stesso rapporto mostrava, d’altra parte, come il gap tra il quinto della popolazione mondiale vivente nei paesi più ricchi e il quinto relegato in quelli più poveri fosse giunto, alla fine del secolo, ad una ratio di 74 a 1. Poiché era 60 a 1 nel 1990 e 30 a 1 nel 1960, e, andando più indietro, si giunge addirittura a un rapporto di 11 a 1 nel 1913, di 7 a 1 nel 1870 e di 3 a 1 nel 1820 – quasi all’anno zero della rivoluzione industriale –, diventa difficile attribuire allo sviluppo quel potenziale egualitario (per lo meno tra grandi aggregati globali) che la teoria di Kuznets evoca, salvo voler proiettare, in un futuro indefinibile, il fatidico “punto di rottura” in cui finalmente la tendenza inegualitaria si dovrebbe rovesciare.
*** Marco REVELLI, 1947, storico, sociologo, politologo, La lotta di classe esiste e l'hanno vinta i ricchi, Laterza, 2014
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