Alle 11.00 del 12 maggio, ora italiana, il destino di Dilma Rousseff, presidente della Repubblica Federale del Brasile, il destino del suo Partido dos Trabalhadores (PT) e il destino dell’intero Brasile è segnato.
Dopo una seduta-fiume di 20 ore consecutive, la proposta di impeachement del presidente ha raggiunto 41 consensi, cioè la maggioranza, mettendo una pietra sulla lunga procedura iniziata nel dicembre 2015. Ora Dilma deve lasciare il potere per 180 giorni, durante i quali sarà istruito contro di lei un lungo processo che terminerà con una nuova votazione del Senato. Se, come tutto autorizza a pensare, anche in questa seconda e ultima votazione i favorevoli alla destituzione saranno più di 41, Dilma sarà messa definitivamente fuori gioco e il PT lo sarà per molti anni.
A partire dalla seconda elezione di Dilma a presidente (2014), la destra ha cercato di trovare in tutti i modi capi d’accusa che la coinvolgessero nello scandalo Petrobras ma non è riuscita a scovare nessuna prova a suo carico. Ha allora ripiegato su un’accusa più generica: la falsificazione dei bilanci dello Stato per mascherare, nel corso della campagna elettorale per la sua rielezione, la recessione del Paese.
Nata in una famiglia di classe medio-alta e laureata in economia, durante la sua giovinezza Dilma maturò posizioni politiche socialiste, partecipò alla lotta armata contro la dittatura militare brasiliana (1964-1985), quando era appena ventitreenne fu imprigionata e rimase in carcere tre anni, resistendo alle torture senza rivelare i nomi dei compagni. “Il destino – ha detto in questi giorni – mi ha sempre riservato grandi sfide. Alcune sembravano insuperabili ma io sono riuscita a superarle. Ho subito torture e ora torno a soffrire il dolore dell’ingiustizia”.
Partecipò alla fondazione del Partito Democratico Laburista e poi all’avanzata del PT fondato nel 1980 da un gruppo di sindacalisti, movimenti sociali urbani, movimenti contadini e cattolici della teologia della liberazione.
E’ una donna ostinata e colta, di gusti raffinati, che ama la letteratura e promuove l’arte. Ministro per i rapporti con il parlamento nel governo Lula, fu eletta la prima volta Presidente nel 2011 (primo presidente donna nella storia del Brasile) e poi di nuovo nel 2014. Insomma, una carriera di alto profilo e di tutto rispetto.
Durante questi mesi il suo principale accusatore è stato il deputato federale Eduardo Cosentino da Cunha, membro evangelico della Chiesa di Dio, pesantemente coinvolto dall’operazione Lava Jato (la nostra “Mani pulite”) nello scandalo Petrobras, riconosciuto reo per riciclaggio di denaro e milioni di dollari nascosti in Svizzera, appena sospeso dalla Corte Suprema.
Da ora in poi, per un massimo di 18 mesi, i poteri di Dilma saranno esercitati dal suo vice-presidente, l’avvocato Michel Terner, “vero regista del golpe” come lo chiama Dilma, massone molto attivo e autorevole, neo-liberale eletto nel Partido do Movimento Democrático Brasileiro (PMDB) e per tre volte presidente della Camera dei Deputati, a sua volta accusato di coinvolgimento in questioni illegali e multato per violazioni nelle spese elettorali, con un’interdizione per otto anni dai pubblici uffici.
Appena un anno fa Terner aveva dichiarato: “L’impeachment è impensabile, creerebbe una crisi istituzionale. Non vi è alcun fondamento giuridico o politico per questo”. Il nuovo governo, subito presentato dal “presidente in esercizio”, è composto da 21 ministri, tutti maschi, tra cui spicca José Serra, stimato ex ministro del governo Cardoso, candidato perdente alla presidenza nelle competizioni elettorali con Lula e con Dilma, ora titolare degli Esteri. Secondo i sondaggi, se si votasse oggi e Terner concorresse, non raggiungerebbe neppure il 2% dei suffragi.
Nel suo insieme questa complicata operazione, tessuta con tenace scaltrezza dalla destra e appoggiata pesantemente dai media per non attendere la normale e democratica scadenza elettorale, è poco comprensibile a tutti quelli che la guardano dall’esterno e a molti che la guardano dall’interno, rasentando il golpe, come hanno denunziato il PT e molti intellettuali tra cui Chico Buarque.
Al momento di lasciare il palazzo presidenziale, Dilma ha così riassunto la lunga vicenda: “C’è stata una cospirazione preceduta da un sabotaggio. Hanno impedito il recupero dell’economia per riprendersi con la forza quello che non avevano conquistato con le urne. Poi hanno creato l’ambiente propizio per il golpe”. Ma tutto questo non sarebbe potuto concretizzarsi senza il grande appoggio dei media. Pochi giorni fa, “Reporter Senza Frontiere” ha scritto: “In maniera poco velata, i principali media nazionali hanno invitato il pubblico a contribuire a rovesciare il presidente Dilma Rousseff. I giornalisti che lavorano per questi gruppi di media sono chiaramente soggetti all'influenza di interessi privati e di parte, e questi conflitti di interesse permanenti sono chiaramente molto dannosi per la qualità delle notizie che riportano”.
Lo stillicidio di questa operazione tortuosa ha bloccato l’avanzata economica di un paese che cresceva ininterrottamente da 30 anni e ora lo lascia privo di una rappresentanza prestigiosa proprio alla vigilia di quelle Olimpiadi che Lula e Dilma erano riusciti ad assicurare al Brasile.
E ora? Dopo “Mani Pulite” l’Italia ha avuto Berlusconi per venti anni. Cosa avrà il Brasile? Aécio Neves, il candidato di destra che Dilma sconfisse alle ultime elezioni, è accusato di avere nascosto fondi neri nel Liechtenstein; tre ministri sono indagati per corruzione. The Economist, che ha denunziato l’impeachement come “un pretesto per cacciare un presidente impopolare” appena due settimane fa, parlando di Dilma, aveva avvertito: “Ciò che è allarmante è che coloro che stanno lavorando per la sua rimozione sono, in molti aspetti, peggiori”.
Tutta l’operazione, pensata nel Palazzo e negli studi televisivi, è stata accompagnata da continui risvolti popolari sempre più violenti. La discussione senatoriale dell’11 maggio e la votazione del 12 sono state accompagnate da manifestazioni di piazza che hanno lasciato sul terreno decine di feriti e che non promettono nulla di buono in un paese di fragile e recente democrazia.
*** Domenico DE MASI, sociologo, professore emerito di sociologia dell'università di Roma La Sapienza, saggista, Brasile: tre destini segnati, 'linkedin.com/pulse', 13 maggio 2016, qui
In Mixtura altri 12 contributi di Domenico De Masi qui
Nessun commento:
Posta un commento