lunedì 16 maggio 2016

#LIBRI PREZIOSI / Fine pena: ora, di Elvio Fassone (recensione di M. Ferrario)

Elvio FASSONE, "Fine pena: ora"
Sellerio, 2015
pagine 154, € 14,00, ebook € 9,99

Una storia che segna dentro
'Un racconto che scuote': lo si dice spesso, anche inconsapevolmente esagerando. Ma stavolta, per questa storia vera e per certi versi incredibile, l'affermazione è appropriata: per nulla enfatica e retorica. Infatti, Fine pena: ora è un libro prezioso, da leggere e far leggere.

Elvio Fassone, l'autore, invia una lettera e un libro all'ergastolano che ha appena condannato. E si avvia una corrispondenza che dura ventisei anni, qui mirabilmente riassunta. 
Tutto parte da Torino, 1985, maxiprocesso alla mafia catanese. Salvatore, poco più che ventenne, è uno dei capi della criminalità: spavaldo, sprezzante, fa il duro. Durante il processo, che dura due anni, in un'occasione particolare il giudice stabilisce con lui un veloce contatto, in qualche modo spiazzante, che trasmette rispetto: quanto basta per far accarezzare al giovane l'idea che possa nascere un sentimento di fiducia. Dopo la lettera e il libro ricevuti in galera a due giorni dalla condanna, il sentimento cresce e si rafforza, dentro una relazione quasi padre-figlio che si fortifica negli anni. Il giudice non riesce a dimenticare le parole dell'ergastolano: «se suo figlio nasceva dove sono nato io, adesso era lui nella gabbia». E l'ergastolano, per la prima volta nella vita, si sente in qualche modo accolto da qualcuno che lo ascolta e, dopo averlo giustamente e severamente giudicato, senza pentirsi di aver compiuto il suo dovere di giudice attraverso la sentenza che gli ha comminato l'ergastolo, non lo 'giudica' più.

Nessun pietismo, nessuna compassione d'accatto, nessun senso di colpa: la posizione dell'autore, che negli anni, dopo essere diventato membro del Consiglio Superiore della Magistratura, sarà eletto senatore per due legislature, resta limpida e precisa. Ma si sente che questa insolita esperienza, qui resa con linguaggio equilibrato, pacato, riflessivo, ma anche emozionalmente ricco e intenso, ha inciso profondamente sulla vita del giudice, costringendolo ad approfondire e riproblematizzare la sua visione della pena e del carcere.

Al termine del racconto, un breve saggio su questo tema raccoglie elementi per un'analisi, acuta e stringente, e avanza una proposta, che cerchi di contemperare le esigenze dei colpevoli e delle vittime in un'ottica di maggiore giustizia anche per il condannato.
Pure queste ultime pagine sono importanti per stimolare in chi legge una presa di posizione verso argomenti che continuiamo a voler tenere lontani dalla nostra vita corrente. Ma, com'è ovvio, l'efficacia di un racconto non ha paragoni nel toccare, oltre che le componenti razionali, le corde emozionali.
E le pagine di Fassone sono esemplificative: nessuna sdolcinatura, una scrittura severa, controllata, austera. Eppure in alcuni punti la prosa si fa poesia: e ti segna dentro.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura
«
«Lei per me è stato molto più importante di quello che lei stesso pensa – mi scriverà più tardi – e forse non lo saprà mai». È possibile. Non è stato per meriti miei, solo per pura intersezione di traiettorie. Una lettera e un pacchetto hanno sortito l’effetto che viene attribuito ad un grosso masso sullo spartiacque dove sgorga la sorgente del Danubio: bastava che fosse collocato un metro più a destra o a sinistra, e il corso d’acqua avrebbe virato verso nord anziché verso sud, mutando l’assetto dell’Europa. 
Al rigagnolo della vita di Salvatore il masso ha dato la direzione conveniente. (Elvio Fassone, "Fine pena: ora", Sellerio, 2015)

 (...) «dalla vita ho avuto molti più dolori che gioie: le cose belle che ho avuto sono solo due, una è Rosi e l’altra è lei, tutto il resto è dolore, dolore dato e dolore subìto». 
Fatico ed esito ad accettare di poter costituire una delle due sole cose belle della sua esistenza. E tuttavia, se Salvatore lo scrive, in queste giornate di sofferenza panoramica, deve pur essere vero. Se penso quanto poco sforzo è costato a me l’intrattenere questa corrispondenza, e quanta risonanza positiva essa ha invece suscitato, sono costretto a modificare il mio modo di pensare: accanto alla dannazione abituale dell’investire molto per ottenere pochissimo, accanto alla sorte consueta del chiudere in passivo i bilanci tra impegno e risultati, c’è dunque anche la realtà del gratuito, del frutto che nasce dove non lo attendi, del valore del gesto che per te è poco, per altri è tutto. 
Me lo dice, con accento quasi sacro, un ergastolano abbandonato dalla sua donna.  (Elvio Fassone, "Fine pena: ora", Sellerio, 2015)

La comunità offesa dal delitto si fa risarcire con fette di vita, prelevate chirurgicamente da quel bisturi inappuntabile che è il processo. È tutto ineccepibile, non si potrebbe accettare un perdono generalizzato, specie a proposito dei delitti più gravi. Il singolo può e deve sforzarsi di perdonare; la collettività deve praticare la giustizia. In fondo, il condannato vive ancora, la vittima non più. 
Eppure si sente che qualche cosa non funziona, non appaga, non ci legittima più ad infliggere questa specie di sofferenza. Ma non hanno ancora inventato un tipo di pena diverso (o forse sì, penso quanto sarebbe più umano e più efficace l’impiego in lavori di utilità pubblica: sono decenni che se ne parla, perché non si praticano finalmente su larga scala?).  (Elvio Fassone, "Fine pena: ora", Sellerio, 2015)

«Lei mi chiede se credo in Dio, si ci credo, da piccolo mia mamma mi faceva pregare ogni domenica, ma nei momenti brutti ho il 70% di me che ci crede, e il 30% che non ci crede, ma alla fine ci credo». 
Queste percentuali applicate alla fede, cioè alla solidità di una convinzione, sono la traduzione ingenua del dubbio. È quasi prodigioso che sia limitato al 30% lo spazio del rifiuto, quando una lettera non arriva, una domanda è stata respinta, uno specchio ti rimanda una faccia sconosciuta, un calendario ti ricorda l’usura del tuo brandello di immortalità. È perfino commovente che alla fine lui creda ancora e sempre, come l’ago di una bussola che una turbolenza fa oscillare ma alla fine ritrova l’assetto. 
Mi pare di sentire il borbottio silenzioso. Dio Signore, non ti chiedevo poi molto, solamente di fare accogliere la mia domandina, che sono quasi sei mesi che sbatto la testa nel muro. Ma tu ho l’impressione che non ti importi poi molto di noi, stai lassù, fermo, ti fai adorare e lasci che il mondo giri come gli pare, e noi continuiamo a stare nella m... Eppure anche tu hai avuto un processo e sei stato condannato, e sai cosa vuol dire. Già, ma tu eri innocente, è vero, ho detto una fesseria, tu non avevi fatto niente di male, noi, beh, qualcosa più o meno tutti qui dentro. Però io l’ho pagata dura, sono quasi trent’anni che sto dentro, tu, parlando con rispetto, in qualche ora te la sei cavata, poi ti hanno tirato fuori, a me tra poco mi viene la muffa o le ragnatele, e non ho nessuno che tiri fuori a me. Ma tu ci sei poi davvero, o siamo noi che ci illudiamo per non crepare di disperazione? A te ti importa davvero di noi, ti importa di me, di Salvatore di Catania, di questo pezzo di muro vecchio che sto diventando? Ti importa di non lasciarmi marcire in mezzo ai pensieri che non voglio pensare ma la testa va dove vuole? Ti importa anche un po’ di me, o ti importa solo di Orazio che ho strangolato tanti anni fa perché mi voleva fare fuori lui, e adesso tu gli stai accarezzando la testa a lui perché è morto e è già arrivato a te, e tu non tieni conto che lui era una bestia più bestia di me, tu perdoni tutti, se vuoi muoio anch’io, così accarezzi la testa anche a me, che ho tanta nostalgia di uno che mi accarezzi la testa dopo che Rosi non c’è più, e forse l’unico che lo può fare sei davvero tu, anche se non ci sei. No, Dio Signore, fa’ che ci sei, te lo chiedo per favore, fa’ che ci sei e se esco vado a portare i fiori sulla tomba di Orazio. 
La preghiera si perde nella notte, nessun libro di devozioni la registrerà mai, bisogna per forza che ci sia qualcuno che la ascolti: per questo «... alla fine ci credo».  (Elvio Fassone, "Fine pena: ora", Sellerio, 2015)
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