Gaetano AZZARITI, "Contro il revisionismo costituzionale
Ritornare ai fondamentali", Laterza, 2016
pagine 184, € 22,00, ebook € 12,99
Ritrovare democrazia
Ogni tanto rincuora.
Trovare un libro di 'alto livello', che tocca temi chiave del nostro (con)vivere civile, scritto con puntiglio storico, chiarezza concettuale e forte pensiero critico non accade ogni giorno.
Se poi è un testo costruito in una chiave che certo può soddisfare i giuristi, per la ricchezza dei riferimenti teorici e il fluire largo e logico dei ragionamenti, ma è capace di farsi apprezzare anche da chi, soltanto fornito di media cultura, non ha ancora dismesso la voglia appassionata di capire lo stallo politico-costituzionale, e per molti aspetti il deciso regresso, in cui siamo finiti in Italia, si può dire davvero che è stato raggiunto il massimo.
Merito dell'autore, Gaetano Azzariti, noto costituzionalista: il quale non solo teorizza che per cambiare il mondo c'è bisogno di ethos, logos e pathos, ma applica direttamente la ricetta al suo saggio, rendendolo godibile come un romanzo che abbia come protagonista il movimento costituzionalista, in Italia e all'estero, nel suo svolgersi storico.
Contro il revisionismo costituzionale è infatti un'opera preziosa, uscita in contemporanea con la conclusione parlamentare della vicenda della riforma costituzionale e il referendum popolare destinato a sancirne comunque il finale. Anche chi come me non è un addetto ai lavori, ma si sforza d'essere semplicemente un cittadino intellettualmente impegnato non può che rimanere colpito dalla ricchezza della mappa dei concetti trattati, quasi tutti figli della nostra Costituzione del 1946, e dalla capacità dell'autore di far comprendere come ciò che pare astrazione giuridica abbia un impatto più che concreto nei fatti della storia e nell'attualità.
Il messaggio è semplice: sostenuto da una dovizia di argomenti, non solo giuridici, che appaiono logici, puntuali, serrati, percorre il libro e diventa insistito negli ultimi capitoli. Come recita il sottotitolo, 'occorre tornare ai fondamentali', ritrovando quello spirito costituente che solo può farci impugnare il revisionismo da almeno vent'anni dominante: nel nome della governabilità, infatti, abbiamo umiliato la rappresentatività e svuotato la funzione primaria del Parlamento, ammaccando (quando non rimuovendo) diritti fondamentali acquisiti negli anni e intaccando la dignità delle persone, sempre meno in grado di esercitare cittadinanza attiva.
Come spesso accade, se l'analisi è precisa e puntuta, ben supportata e convincente, in particolare se si condivide con l'autore lo sguardo al mondo da una certa ottica valoriale, è sulla possibilità di tradurre il messaggio in pratica che si può dubitare: perché, forse, il processo è già irreversibile.
Al di là di una complessità di vincoli di contesto che fuoriesce dai confini nazionali, e che molto ormai ci condiziona, quando non ci determina, sappiamo che le leggi, necessarie per recuperare democrazia nella direzione indicata, non cadono dall'alto: almeno in una logica politica che non privilegi la verticalità del potere. Ma hanno bisogno, appunto, del trittico indicato da Azzariti: senza ethos, logos e pathos, si resta, se va bene, qui dove siamo, e se va come più facilmente può andare, si va ove si può stare ancora peggio.
La condizione per cambiare strada dipende prima dalla consapevolezza del bisogno e poi dalla volontà di intraprendere scelte diverse, in questo caso anche opposte. Almeno questi due fattori non stanno ai vertici di chi oggi detiene il potere, ma, orizzontalmente, nella testa e nel cuore delle persone: a loro (a noi) spetta influenzare politica e politici, esigendo una decisa inversione del processo. E francamente mi pare che per ora prevalgano sentimenti di impotenza, indifferenza, lontananza, che rendono noi cittadini sempre più sudditi.
Non sono certo i giuristi che possono invertire la rotta. Ma libri come questo, mentre ci acculturano in modo serio e non superficiale, possono sferzare le coscienze di tutti.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
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La dialettica politica s’è impoverita, compressa entro un assolutismo ideologico neoliberista, che rende omologhi i diversi e che nessuno è in grado di contrastare con efficacia. Quel che è rimasto è l’indignazione, assai diffusa, molto urlata, poco ponderata. Un sentimento di rivolta che può essere compreso, ma che sconta la rinuncia, l’estraneità, l’esodo: non basta indignarsi per comprendere, né la rabbia da sola è sufficiente per cambiare. Per interpretare il mondo c’è bisogno di ethos, logos e pathos; ma i nostri sono, invece, tempi tristi, senza morale, senza ragione, senza passione. Per cambiarlo, poi, dovremmo riscoprire una nuova grande narrazione o almeno un quadro di principi per cui valga la pena impegnarsi a costruire un altro mondo possibile; ma il nostro tempo ha attraversato ogni disincanto e ha fatto strage di tutte le illusioni. (Gaetano Azzariti, Contro il revisionismo costituzionale. Ritornare ai fondamentali, Laterza, 2016)
Il carattere rappresentativo delle democrazie moderne sta vivendo, infatti, un tempo di eclisse: dietro la luna sono scomparsi tanto i rappresentanti quanto i rappresentati, mentre lo strumento che le nostre costituzioni hanno individuato per collegare gli uni agli altri (i partiti) appaiono navicelle sperdute nello spazio galattico. Politica e cultura sono attualmente accecate da un altro sole, quello della governabilità. Confusi dai riflessi di questa luce non vedono che si sta deteriorando il terreno su cui si legittima il loro stesso potere. Senza rappresentanza effettiva i poteri costituiti perdono la legittimazione a governare in nome del popolo. Può darsi che in tal modo si possa raggiungere il massimo di governabilità (sebbene personalmente ne dubiti), ma sembra opportuno riflettere ancora un po’ prima di rinunciare a duecento anni di storia che sulla rappresentanza politica hanno costruito il rapporto controverso e asimmetrico tra governati e governanti. (Gaetano Azzariti, Contro il revisionismo costituzionale. Ritornare ai fondamentali, Laterza, 2016)
La democrazia degli antichi rinviene quindi il proprio presupposto nell’eguaglianza dei pochi e nella discriminazione dei più. La pratica della democrazia classica appare in tal modo assai distante dalla teoria democratica moderna. Una «democrazia elitaria», s’è detto, che sconta una netta separazione tra i soggetti e una forte diseguaglianza giuridica e politica tra i cittadini. Le vicende che hanno portato progressivamente all’estensione della soggettività giuridica e all’attribuzione dei diritti civili e politici a gran parte delle persone appartiene ad altre epoche storiche. Va a merito del movimento politico e culturale del costituzionalismo moderno avere espresso le ragioni universalistiche del demos. (Gaetano Azzariti, Contro il revisionismo costituzionale. Ritornare ai fondamentali, Laterza, 2016)
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