Ho perso il treno per Firenze e non me lo perdonerò mai. Avrei potuto essere tra quei giovani virgulti chiamati a fare le domande ai ministri del governo, nello show room delle idee di Matteo Renzi. Per esempio, adeguandomi al clima di aspro confronto, avrei potuto chiedere alla ministra Boschi: “Parliamo un po’ di suo padre. Alla mattina, caffélatte o ginseng?”. Bisogna avere coraggio quando si fanno domande ai potenti.
Matteo Renzi lo aveva detto: “I ministri saranno interrogati dai partecipanti alla Leopolda in un modo innovativo e divertente”, e in effetti ci siamo divertiti. Abbiamo visto in action quello che si vorrebbe dalla libera stampa. Niente che non si fosse già sentito nelle polemiche sui cattivi talk show o nelle solite lamentazioni contro “i giornali” (e questo in particolare), ma insomma, vedere così plasticamente rappresentato il sogno del “giornalismo di rinnovamento” (copyright Marianna Madia) è stato istruttivo. Ecco, avrei voluto essere lì, adeguarmi, entrare nel mood lepoldo: “Caro ministro dei trasporti, e del cambio Shimano che mi dice? Lei ce l’ha sulla bicicletta?”. Nei casi estremi, tipo con il ministro Poletti, mi sarei limitato, come fanno i professori umani, a dire: “Mi dica un tema a sua scelta”, certo che quello si sarebbe incasinato da solo.
Per farla breve: esiste una linea invisibile superata la quale la propaganda diventa autocaricatura, spesso è una linea sottile, difficile da individuare, ma va dato atto agli strateghi renzisti di aver superato quel confine di alcuni chilometri. Alla Leopolda mancava la piramide di Panseca, quella che rese monumentali (e poi monumentalmente ridicoli) i tronfi trionfi craxiani. Ma il resto c’era tutto, compresa la lezione di question time come lo desidererebbe qualunque potente sulla terra: “Compagno Stalin, ci conferma che nei gulag si mangia benissimo?”.
Ora, su tutto questo si può fare satira e umorismo, ma come restare indifferenti alle vicende umane? Come non provare un moto di tenerezza per quei giovani chiamati ad agevolare le passerelle ministeriali con il loro umile lavoro di comparse? Uno si può immaginare l’angoscia della vigilia, la febbrile compilazione delle domande, i mille dubbi: non avrò osato troppo? Non sembrerò scomodo e importuno? “Ministra Giannini, come si può rendere magnifica la già meravigliosa riforma della scuola, forse con dei lapislazuli?”. Beh, mi pare una domanda equilibrata …
Ecco, siccome l’esempio vale più di mille discorsi, ci hanno fatto proprio l’esempio, ci hanno mostrato come si fa. Presentarsi con il nome di battesimo, essere informali, dare del tu al ministro. E poi trafiggerlo con argomenti inoppugnabili e domande che non lasciano scampo: “Panettone o pandoro?”.
Ma forse la commedia dell’arte leopolda non era per tutti e alcune cose erano, diciamo così, ad uso interno, come quelle campagne pubblicitarie che tendono a fidelizzare il cliente. Se le precedenti Leopolde dovevano far conoscere il prodotto, questa qui appena conclusa aveva un altro scopo: convincere i clienti a non andarsene, giurare che il prodotto funziona, stimolare il consumatore. E per fare quello, motivare i venditori. E in più ancora, mostrare che ci sono nuove leve di venditori che premono, che si fanno notare, che incalzano con severità e spirito battagliero: “Ministro, cosa si prova a cambiare il paese?”. Brivido.
Se è questo che volevano, i grandi comunicatori, ci sono riusciti in pieno: la chiesa di Renzology ne esce perfettamente rappresentata, i suoi sacerdoti sono stati interrogati da adepti intimoriti, il Ron Hubbard di Rignano ha scritto un altro capitolo e indicato nuovi nemici: i giornali cattivi che durante la messa – maledetti – scrivevano di banche.
*** Alessandro ROBECCHI, giornalista e scrittore, “Panettone o pandoro?”, il “mood” del “question time” stile Leopolda, 'Il Fatto Quotidiano', 16 dicembre 2015, qui
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