Non è più la freccia incandescente
che terremota e incendia i giovani anni:
quella che ci obbligava a modulare,
tra un languido sussurro e un grido di piacere,
quel gigantesco e onnipotente ‘ti-amo’
che giuravamo avrebbe sfidato l’eternità,
pur sapendo che era soltanto l'attimo
sfuggito ad un climax appassionato.
Adesso è il tizzone tra le braci:
quello che quieto, ma ancora non vinto,
protegge con pazienza il tiepido esaurirsi del focolare
e insistentemente ci sospira alla bocca,
dal profondo di un legame
che ne ha difeso con ostinazione le radici,
questo calmo ma fermo e fiducioso 'ti-voglio-bene’,
a nutrire e rinnovare l'affetto
all’amore abitudinario compagno dei nostri lustri.
Ieri come oggi,
la freccia e il tizzone sono Eros,
il dio che sa trasmutare,
senza snaturare il daimon che lo abita
o impoverire l’energia che lo brucia,
dallo stato più emozionalmente arroventato
allo stato più consapevolmente misurato:
oscillando tra l'incontinente esplosione del ‘ti-amo’
e la composta confidenza del ‘ti voglio-bene’.
In ognuna delle sue forme,
a chi ha la fortuna di esserne prescelto e per magia toccato,
mai smette,
questo dio che sempre ci deborda,
di donare scintille che fanno viva
la vita:
ora, impetuoso, l’accende;
ora, confortante, la coltiva;
sempre, premuroso, la feconda.
***Massimo Ferrario, Eros, la freccia e il tizzone, per Mixtura
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