Coloro che, a forza di dedizione e talento, prevalgono in una meritocrazia competitiva sono debitori in forme che la competizione tiene nascoste. Via via che la meritocrazia si intensifica, la lotta ci assorbe così tanto da dimenticarci del nostro debito. In questo modo, persino una meritocrazia equa, senza imbrogli o corruzione o privilegi particolari per i ricchi, induce a un’impressione falsa, ovvero che abbiamo fatto tutto da soli. Gli anni di impegno faticoso, richiesti a quanti aspirano alle università esclusive, li costringe a credere che il proprio successo sia dovuto a se stessi e che, se dovessero fallire, non avrebbero altri da biasimare se non se stessi. Per i giovani è un fardello pesante da portare ed è inoltre corrosivo della sensibilità civica. Perché più pensiamo di esserci fatti da soli e di essere autosufficienti, più diventa difficile imparare la gratitudine e l’umiltà. E senza questi sentimenti, è difficile prendersi cura del bene comune.
*** Michael J. SANDEL, 1953, filosofo statunitense, La tirannia del merito. Perché viviamo in una società di vincitori e di perdenti, Feltrinelli, 2021
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