Il bon ton di per sé non è ovviamente mai stato garante di una reale attenzione al valore e alla diversità altrui, né peraltro di rispetto della moralità. Contestate, per alcuni aspetti non a torto, come manifestazioni di ipocrisia di cui disfarsi, le buone maniere tuttavia traevano linfa da un senso di appartenenza a un gruppo, a una comunità da salvaguardare. Rendersi amabili era un valore che valeva la ricompensa di non sentirsene esclusi, e perfino l’intramontabile edizione del pavoneggiante distorto amor di sé, sempre esistito, prevedeva uno sforzo di adeguamento a un galateo passato di moda, il pegno da versare per essere e sentirsi desiderabili. (...)
Nella piccola maleducazione quotidiana, piú del gesto di per sé, quel che colpisce maggiormente è l’assoluta impudenza nell’agire irriguardoso da parte di chi si sentirebbe sicuramente offeso dall’appellativo di maleducato. La pretesa paradossale è di vedersi riconosciute, congiuntamente a un “tutto è permesso” e “tutto dovuto”, eleganza e correttezza a costo zero. Anche senza incarnare appieno il prototipo negativo a cui il termine rimanda, ciascuno di noi ha qualche debolezza narcisistica, cosí come l’umana tendenza ad autogiustificarsi. Ritengo capiti a tutti di commettere qualche infrazione dei codici della convivenza civile o del galateo, e non piace a nessuno ammetterlo, ma se oggi si applicasse il precetto evangelico «Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra», ci estingueremmo rapidamente sotto i colpi di una collettiva lapidazione fratricida.
*** Nicoletta GOSIO, psichiatra e psicoterapeuta, Nemici miei. La pervasiva rabbia quotidiana, Einaudi, 2020
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