diventano laghi bui
che dimorano sotto gli occhi.
Poi le ombre mangiano un po’ alla volta
tutte le altre strade del volto.
Arrivano alla bocca
unico ardito ingresso all’Ade
e si depositano come zolfo nei polmoni
finché mi affaccio al mondo
guscio di sé
senza che nessuno si accorga
di cambiamenti
di seppur minime alterazioni
circolo libera
solo fragile
solo il «non toccare» devo nascondere.
*** Eleftherìa SAPOUNTZÌ, 1971-2000, poetessa greca, Le lacrime non piante, traduzione di Viviana Sebastio, in 'Fili d'aquilone', gennaio-aprile 2020, n. 54, qui
Nessun commento:
Posta un commento