L'altro giorno ho fatto un errore.
Uno dei peggiori che si possano fare, se sei un insegnante. Secondo solo forse a ironizzare sui baffoni del Dirigente col Dirigente alle tue spalle
(a “un mio amico” è successo, non posso dirvi chi).
Una frase, niente più. Però ho fatto intendere di avere delle preferenze per qualcuno.
Che pirla!
Vedevo che mi guardavano strani, quasi delusi. Ho provato a metterci una pezza, ma no, guardate, non volevo dire che.
Niente da fare. Ormai la cazzata l'avevo fatta.
Ora: quando da prof fai un errore, poi te lo porti dietro per giorni. La gente ti parla e tu pensi a quello. Ti svegli e pensi a quello. Mangi perfino meno. Per chi mi conosce, è un brutto segno.
Così ho lasciato passare qualche giorno, e intanto mi sono messo a pensare a come aggiustare la cosa, senza che loro pensassero che fosse ancora un metterci la pezza.
E poi mi sono ricordato della mia prof di Lettere, in terza media.
Mi è venuto in mente che di lei avrò sì e no cinque o sei ricordi ben definiti. Qualche battuta. Le poesie che ci faceva scrivere. Ma soprattutto mi ricordo di un giorno, prima di un tema, in cui davanti a tutta la classe si era messa a elencarmi tutti i miei pregi. Tutte le cose belle che sapevo fare o essere.
Ho pensato che se l'autostima è una casa, molti dei mattoni della mia sono fatti di quel discorso lì di una prof di lettere, un mattino di quasi trent'anni fa.
Mi è venuto in mente Venezia, e le lezioni del mio prof di Filosofia, Umberto Galimberti, che un giorno ci disse: “Quando sarete genitori, ragazzi, ricordatelo: non c'è identità senza riconoscimento. Per cui ditelo sempre, ai vostri bambini, in cosa sono bravi”.
E infine mi è venuta in mente mia figlia, domenica agli scivoli, al parco: per la prima volta era riuscita a salire e scendere dallo scivolo da sola, e io le dicevo “Brava!” con tanto di applausi dopo ogni discesa, e quando dopo la sesta o settima mi sono distratto e non l'ho fatto, lei mi ha urlato: “Dimmi brava!” e mi ha fatto anche vedere come applaudirla.
Così l'altro giorno sono entrato in classe, e ho scritto alla lavagna tre numeri.
“Prendete il diario, alla data di oggi, e scriveteli”.
Li ho chiamati, uno a uno, e a tutti ho elencato i loro tre pregi migliori. I loro 3 superpoteri, ho detto.
A una ho parlato della sua sincerità disarmante, a uno della sua grinta che non lo fa mollare mai mai mai, a una della sua grande capacità di osservare e registrare tutto, a uno della gioia che regala alle persone anche solo sorridendo.
A un altro ho detto: “Il tuo superpotere è essere un rompiscatole!”, e gli ho spiegato che lui le scatole le deve rompere ancora di più, specie quando vede che qualcosa è ingiusto. Solo imparare a romperle come si deve, con classe ed educazione.
Perché molto spesso, i nostri difetti, sono solo pregi a cui qualcosa è andato storto.
È durata un'ora, la lezione sui superpoteri.
Non riparerà l'errore idiota. Lo so.
Però ho sentito una cosa che, se sei insegnante, se ti va bene riesci a sentire una o due volte in un anno: il rumore di un mattone che si posa, l'odore buono delle cose, quando iniziano.
*** Enrico GALIANO, scrittore, insegnante, facebook, 21 febbraio 2019, qui
In Mixtura i contributi di Enrico Galiano qui
In Mixtura ark SenzaTagli qui
Nessun commento:
Posta un commento