Troppi dicono che domenica 4 marzo l’unica sarà votare il meno peggio. Ottimisti. Alle urne un democratico potrà scegliere tra il peggio, il più peggio, il peggissimo. O per maggiore precisione filologica: tra lo schifo, il più schifo, lo schifissimo.
Il Movimento 5 stelle fa schifo. Il rosario delle evidenze avrebbe più grani di quello delle beghine (del resto Di Maio biascica di peggio quando va a baciare la superstiziosa ampolla di un santo mai esistito, con tanto di salamelecchi al cardinale). La cartina di tornasole è la moltiplicazione dei candidati immondi e perciò espulsi. Vuol dire che demenziale, o peggio, è il sistema di selezione dei candidati. Peggio, perché scegliere attraverso un casting di tre minuti di video autoincensatori e successivi clic di “like” (talvolta poche decine per diventare sindaco di una città di medie dimensioni) significa piegarsi a quanto di più antidemocratico e di meno meritocratico, di più corrivo verso la politica spettacolo, ulteriormente degradata a finzione pura. E fermiamoci qui.
Che la destra di Berlusconi Salvini Meloni faccia schifissimo, se prendiamo minimamente in considerazione la Costituzione, cioè il patto solenne che ci rende concittadini anziche homines hominibus lupi, è dimostrabile per tabulas e per quotidiane scelleratezze politiche. Ormai il razzismo è incensato a senso comune, e Macerata farà scuola, e si sognano ulteriori diseguaglianze e degradi sociali, culturali, ambientali, con flat tax e condoni edilizi e fiscali.
Il sistema planetario renziano, con i zero virgola Lorenzin e prodiani e la mistificazione pluridecennale Bonino (per cascarci ancora si deve avere una golosità inossidabile, ossessiva, inguaribile, per le fette di Parma sugli occhi e la cera di Ulisse nelle orecchie), per non parlare dello specchietto per allodole Gentiloni, merita il “più schifo” per tutto quanto ha fatto e ha omesso: ha realizzato su (in)giustizia, (dis)informazione e umiliazione del lavoro quanto Berlusconi ha tentato con intimidazioni e fanfare riuscendovi però con frustrante (per lui e l’establishment) parzialità.
Stavo dimenticando Liberi e Uguali, e sarebbe ingeneroso. Bisognerà allora ricordare che D’Alema è stato la “sinistra” dell’inciucio, Vendola quella del lingua in bocca telefonico con Girolamo Archinà braccio destro dei Riva (Ilva di Taranto), e Pietro Grasso il magistrato che a Palermo si scontrava quasi sistematicamente con Gian Carlo Caselli e i suoi “allievi” Scarpinato e Lo Forte sul processo Andreotti (si legga ora l’irrinunciabile libro di Caselli e Lo Forte edito da Laterza). E sarebbe diventato Procuratore nazionale antimafia grazie a una legge berlusconiana ad personam (anzi contra) che escludeva Caselli, salvo rispondere, anni dopo e già in sella, alle critiche di Travaglio sospirando che quella legge era proprio brutta. Meglio non infierire.
Ciascuno perciò deciderà cosa tra schifo, più schifo e schifissimo preferirà. Non votare, o annullare il voto, dal punto di vista dei risultati è infatti impossibile. Costituisce solo autoinganno e autoillusione. Il non voto non fa che sanzionare la distribuzione dei saggi secondo quanto stabilito dai voti degli altri cittadini. Il non voto è dunque il conformismo per eccellenza, funzionalmente equivale a dare oltre un terzo della propria scheda a Berlusconi Salvini Meloni, un po’ meno di un terzo a Di Maio e un quinto a Renzi e satelliti. Se a qualcuno piace dare questo voto, decida pure di non votare o annullare la scheda. Chi poi si immagina che un alto tasso di astensioni possa preoccupare l’establishment e i partiti ha mente più fervida dell’hidalgo coi mulini a vento.
L’establishment, ecco un punto che potrebbe spingere a decidersi tra peggio più peggio e peggissimo. Le destre di Berlusconi e Salvini e la destra di Renzi Gentiloni e Bonino sono l’establishment. Il Movimento 5 Stelle no, o per essere più lucidi non ancora, non sempre (a Roma la giunta Raggi è ormai l’ennesima giunta dei palazzinari, vedi il documentatissimo libro dell’architetto Paolo Berdini). Per il momento sono una pietra d’inciampo per l’establishment, più sono i voti pentastellati e minore per l’establishment la tanto concupita stabilità.
In realtà un voto che si sottrae allo schifo ci sarebbe, anche se con programmi claudicanti e ideologia contraddittoria. Potere al Popolo. Con l’attuale sistema elettorale e la non copertura mediatica è pressoché certo che non arriverebbe al quorum, dunque funzionalmente equivarrebbe al non voto. Tuttavia se è un miracolo il san Gennaro ossequiato da Di Maio potrebbe succedere anche questo. E uscire dalla cabina elettorale senza conati di vomito non è indifferente alla salubrità dell’esistenza.
“Questo voto è una scelta di campo”, ha tuonato l’innocuo Gentiloni. In effetti: tra establishment e non. Tra il certissimamente certo dello schifo che abbiamo vissuto da un quarto di secolo e l’incertezza, il rischio, l’azzardo, l’incognita, l’alea. Il peggissimo o il peggio.
*** Paolo FLORES D'ARCAIS, 1944, filosofo, saggista, direttore di 'MicroMega', 4 marzo: al voto tra peggio, più peggio e peggissimo, 'MicroMega online', 25 febbraio 2018, qui
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