venerdì 11 novembre 2016

#RITAGLI / Usa, voti Repubblicani-Democratici 2008-2016 (Alessandro Gilioli)

Voti ottenuti dai candidati alla presidenza Usa dei Repubblicani, nelle ultime tre elezioni
2008: 60 milioni
2012: 60,9 milioni
2016: 59,5 milioni

Voti ottenuti dai candidati alla presidenza Usa dei Democratici, nelle ultime tre elezioni
2008: 69,4 milioni
2012: 65,9 milioni
2016: 59,6 milioni

Ora, il mio amico Tommaso Ederoclite ci assicura che - lui ne è certo, non so come - i democratici non avrebbero mai vinto neppure con Bernie Sanders, e che solo pensare questa cosa «è una cazzata».
A me quella che per Tommaso è «una cazzata« pare invece semplicemente un'opinione, priva di controprova, quindi nell'ambito delle opinioni. (...)

Quella che invece mi pare assai più di un'opinione è che Hillary Clinton abbia perso tra i sei e i dieci milioni di elettori democratici, rispetto alle precedenti consultazioni, a fronte di candidati repubblicani che invece hanno avuto più o meno gli stessi voti nelle ultime tre elezioni. E che quindi HRC non è stata esattamente una candidata centratissima, ecco.

*** Alessandro GILIOLI, giornalista e saggista, 'facebook', 10 novembre 2016, qui



In Mixtura altri contributi di Alessandro Gilioli qui

4 commenti:

  1. E questo smonta anche tutte quelle teoria sulla perfetta comunicazione fatta da Trump, con decine di post e articoli che girano sul web in questi giorni. Con il sottointeso - a volte esplicito - che Trump ha vinto perchè ha comunicato meglio. Mi pare che in questo contesto la comunicazione di Trump non abbia influito o spostato molto.

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  2. Ormai, anche in Italia, è di moda individuare lo 'stile comunicativo', o peggio, il sentimento della 'simpatia' (vedi Oscar Farinetti, quando invita il suo amico Renzi a diventare più simpatico facendo meno il 'duro' e facendosi credere 'vulnerabile'...), come fattore chiave per il successo.
    E' un approccio in linea con le spiegazioni 'sovrastrutturali' (si sarebbe detto una volta, quando si sapevano ancora fare analisi fondate sui 'fatti' e non sullo 'storytelling'), che oggi fungono da uniche interpretazioni di ciò che accade.
    Dubito che Trump sia 'simpatico' a tutti i milioni che l'hanno votato.
    Così come dubito che la Clinton abbia perso perché antipatica e incapace di comunicare in modo caldo e empatico.
    Il successo, e l'insuccesso, di entrambi è dovuto al fatto che Trump ha saputo incrociare (e abbondantemente insufflare) disagio, rabbia, odio di chi si è sentito abbandonato e si sente, di conseguenza, impotententemente 'sfigato' e non difeso da chi dovrebbe difenderlo; e la Clinton, da una vita appartenente al top del top dell'establihsment economico-finanziario, non poteva certo proporsi credibilmente come paladina del ceto medio disperato (per disoccupazione, disuguaglianza, incertezza di futuro...).
    La psicologia è una chiave di lettura seria, se applicata con serietà. E con serietà vuol dire anche che non deve diventare l'unico occhiale per leggere la realtà. Se no, si trasforma, come sta accadendo anche a causa di tanti sedicenti professionisti, in 'psicologismo'. Con tutte le derivate perverse che portano fino al sedicente 'pensiero positivo': di cui Renzi, Farinetti e la cultura renzista dell'ottimismo sono due esempi, stucchevoli e pericolosi, all'italiana.

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  3. Non so se sei d'accordo, ma forse mai come questa volta la comunicazione ha giocato un ruolo secondario. Molto di può ha giocato la rabbia e l'essere fuori dalla politica "classica" da un lato e l'appartenza all'establishment dall'altra. A quel punto il messaggio era secondario (tanto è vero che i dibattiti televisivi sembrava gli avesse vinti la Clinton). Mi pare una vera e propria rivoluzione. Che ne pensi? E qualcosa di simile mi pare stia anche avvendendo con il referendum. Se vince il No, non mi pare si possa dire che Renzi ha perso perchè ha comunicato male. Forse meglio di così non poteva fare. Ma forse la maggior parte delle persone voterà in base ad altre decisioni (e solo una minima parte in base a quanto scritto nell'articolo 70).

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  4. Stefano, scusa il ritardo con cui rispondo. Ma vedo solo ora il tuo commento (evidentemente è saltata la solita email di avviso da parte di google...).

    Sul punto concordo: lo 'stile comunicativo', nel caso di Trump come nel caso di Renzi, ha un peso secondario.
    Conta, certo, ma conta, assai di più, altra 'sostanza' ben più 'sostanziosa'.

    (1) - Nel caso di Trump, mi pare sia stata decisiva la rabbia degli esclusi-dimenticati, mescolata con il mix di xenofobia-razzismo-suprematismo dell'uomo maschio bianco americano, offeso per gli 8 anni di presidenza del nero Obama (un usurpatore per molti) e ancora più per la possibile prospettiva di vedere la presidenza affidata stavolta a una 'donna' (per giunta dentro fino al collo nell'establishment economico-finanziario-di potere).

    (2) - Nel caso di Renzi, vedremo cosa accadrà al referendum. Che comunque il suo 'mito' si sia pesantemente appannato è dovuto, mi pare, in parte all'effetto boomerang del suo modo sbruffone, arrogante e divisivo di relazionarsi con chiunque non sia Lui (con la maiuscola). Ma, ancora di più, credo sia dovuto al fatto che due anni di suo protagonismo non sono passati invano. E' stato visto alla prova ed è andata come qualcuno aveva previsto, ricordando l'epiteto di 'il bomba' con cui veniva preso in giro da ragazzino ogni volta che le sparava grosse, nascondendosi dietro l'aria fritta e retorica del blabla. Le sue riforme, attuate o annunciate, sono lì da vedere. E se stiamo al merito della riforma costituzionale (come dovremmo fare per rispondere al referendum e non trasformare il referendum in un plebiscito, come invece aveva fatto Renzi all'inizio e anche ora non smette, tra le righe, di continuare a fare), abbiamo elementi (per me inoppugnabili) che guidano al voto.
    Dunque, con buona pace di Farinetti, Renzi può essere antipatico, ma la realtà da lui prodotta è ancora più antipatica.
    E alla fine la realtà si rivela sempre più dura anche di come la racconti e di come ti presenti.

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