Uno dei tanti temi chiave che si insegnano, da una vita, anche in Italia, nelle organizzazioni di lavoro (a manager, professional, neoassunti) è capire, se non i 'segnali deboli' anticipatori del futuro, almeno i 'feedback' che conseguono alle azioni che mettiamo in campo.
La ragione dell'importanza di questi 'ritorni' è banale: se li sappiamo decifrare, forse possiamo imparare a riorientare i comportamenti e a correggere il tiro per il domani.
E' così che i sistemi sono sistemi: e gli esseri umani, o i sistemi sociali, in quanto sistemi viventi, funzionano anch'essi attraverso la 'retro-azione'.
Renzi fa il manager all'amerikana e ha uno stuolo di consulenti-consiglieri.
Si faccia aiutare.
Se i dizionari sono oggetti troppo 'vetero', c'è sempre google: tra un tweet e l'altro, se il nostro presidente del Consiglio (detto impropriamente premier perché l'inglese pare d'obbligo anche quando è sbagliato), cliccasse la voce 'feedback', forse persino lui capirebbe.
Certo, dovrebbe superare due enormi difficoltà: (1) fermarsi per qualche secondo, e (2) pensare di dover capire qualcosa che non ha capito.
Riflettendo (oibò, sì: riflettendo), magari persino lui riuscirebbe a scoprire perché il centrosinistra, (anche) con la sua politica sempre più di centro e sempre meno di sinistra, si sta squagliando.
Meglio: perché gli elettori di quest'area di riferimento si stanno squagliando.
I feedback ci sono.
Tutti.
Squadernati lì davanti.
In brutta mostra.
E hanno la durezza delle mattonate nei denti.
E hanno la durezza delle mattonate nei denti.
Basta leggerli.
Naturalmente, si possono rimuovere.
Dicendo (continuando a dire) che gli spigoli duri della realtà, in fondo, sono rotondi e morbidi.
E che tutto quello che si è fatto deve continuare a essere fatto, perché 'i gufi che gufano non passeranno' e lui cambierà l'Italia.
In effetti l'Italia sta cambiando.
E lui contribuisce a cambiarla.
Il punto è come: se in meglio o in peggio.
Perché cambiamento (dovrebbe essere banale dirlo e chiedo scusa se devo ricordarlo) non è una parola buona in sé.
E lui contribuisce a cambiarla.
Il punto è come: se in meglio o in peggio.
Perché cambiamento (dovrebbe essere banale dirlo e chiedo scusa se devo ricordarlo) non è una parola buona in sé.
Per cambiare in meglio e non in peggio, dunque, capire i 'feedback' è cruciale.
Se no, anche andare a sbattere contro un muro può essere cambiamento rispetto a chi se ne tiene lontano.
In questo caso, però, chi si fa male non sarebbe solo lui.
E se lui, come ripete sempre ossessivamente, ci mette la faccia, noi rischiamo di compromettere altre parti del corpo.
Tuttavia, non mi faccio illusioni: so che il mio è solo un 'pensiero in forma di auspicio' (tradotto per il sedicente 'premier': 'wishful thinking').
Perché se c'è una categoria di individui per cui i feedback proprio non funzionano sono i narcisisti patologici.
Allora, il problema non è più di Renzi, ma nostro: quando, e come, gli diremo di smetterla?
Tuttavia, non mi faccio illusioni: so che il mio è solo un 'pensiero in forma di auspicio' (tradotto per il sedicente 'premier': 'wishful thinking').
Perché se c'è una categoria di individui per cui i feedback proprio non funzionano sono i narcisisti patologici.
Allora, il problema non è più di Renzi, ma nostro: quando, e come, gli diremo di smetterla?
*** Massimo Ferrario, Elezioni amministrative, i 'feedback', per Mixtura
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