Le radici sono state e sono invocate tante volte in maniera strumentale. Ma non basta evocarle. Le radici hanno un senso quando si è formata su quelle radici una pianta, ma soprattutto la pianta ha dato i frutti di opere buone e l’opera buona fondamentale di questo tempo è quella di superare l’indifferenza. Le vicende delle persone, delle comunità e dei popoli ci devono interrogare dentro e noi dobbiamo acconsentire a essere interrogati e a non essere indifferenti, in modo che le vicende non siano solo dei numeri, ma ci portino sempre a soffermarci su quel volto di donna, di bambino, di uomo. Quei volti che arrivano nelle nostre case oggi dal confine tra Grecia e Macedonia, oppure dal grande accampamento di Calais in Francia, dove sono entrate le ruspe a sgombrare perché le persone se ne andassero. Vale però anche per tutti gli incontri umani che noi viviamo: non voltarsi dall’altra parte. (...)
[D: Lei critica l’assurdità del diritto di asilo riconosciuto nello stato membro che lo ha concesso, così come la distinzione tra migranti economici e profughi di guerra.]
C’è una situazione così evidente dove decine di migliaia di persone scappano dalle guerre e dalla povertà: come facciamo ad accogliere solo i primi? Diventa difficile anche perché uno sguardo alla situazione del mondo e una lettura strutturale del pianeta ci spingono a considerare quali sono le nostre responsabilità del nostro mondo rispetto a quei mondi. Queste persone che fuggono scappano da situazioni che il nostro mondo ha contribuito a determinare e a creare: io sono tra quelli che dicono che bisogna rimuovere le cause, ma anche riconoscere che siamo protagonisti di quelle cause. Sull’impoverimento di tanti popoli siamo coinvolti, sulle guerre siamo coinvolti anche fornendo armi, in Libia, Iraq, Afghanistan, Siria. Quando penso a chi scappa per motivi di impoverimento mi chiedo perché l’Europa non pensi a un progetto a lungo termine con tempi immediati, una sorta di piano Marshall per, ad esempio, i paesi del sud Sahara e coinvolgesse giovani europei dei diversi paesi, persone competenti che hanno studiato e sanno operare e collaborino con i giovani di quei paesi impoveriti. Progetti che riguardino l’agricoltura, le scuole, le professioni, non per un nuovo colonialismo ma una vera cooperazione: ecco secondo me un’Europa dei popoli dovrebbe progettare così: ma di questo non c’è traccia. (...)
[D: Lei polemizza con chi parla di “valori non negoziabili”]
Io penso che l’incontro con le persone dovrebbe sempre avvenire con il vangelo in mano, nel cuore e con un rapporto veritiero con la persona che ho davanti e incontro. A parte che il termine è molto grossolano, quasi indica una mercificazione, se io dico che ho valori non negoziabili di fronte a una persona che mi presenta una situazione che non avrei mai pensato di incontrare nella mia vita, faccio scattare una pregiudiziale ideologico-religiosa che mi porta a creare immediatamente uno sbarramento. Se ho un pacchetto preconfezionato di parole e di atteggiamenti non incontrerò mai quella persona. C’è stato il tempo in Italia della Chiesa politica, contrassegnata dalla guida Ruini; in quel periodo si invocavano valori non negoziabili, ma nel Vangelo non ci sono valori non negoziabili; papa Francesco ha posto fin dall’inizio il cuore, la rivelazione del Dio misericordia: per lui tutto è negoziabile.
*** Pierluigi DI PIAZZA, prete di frontiera, fondatore del centro “Ernesto Balducci” di Zugliano (Ud), autore di Il mio nemico è l’indifferenza. Essere cristiani nel tempo del grande esodo, Laterza, 2016, intervistato da Elisabetta Ambrosi, "L'accoglienza è la nostra salvezza e non esistono valori non negoziabili", 'L'Huffiongton Post', 7 marzo 2016
LINK intervista integrale qui
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