Era sera e ancora non erano giunti ad una conclusione. Ognuno aveva la sua definizione, ma nessuna definizione riusciva a convincere tutti.
Dalla mattina, all'alba, discutevano, seduti in cerchio, su cosa significa 'amare'.
Decisero di interpellare il Maestro.
Uno di loro si alzò e andò a chiamarlo mentre finiva di raccogliere legna, fuori nel bosco, per il fuoco della sera.
Il Maestro non amava le definizioni. Diceva che violentano la realtà e che la realtà è sempre più ampia e contraddittoria di ogni nostro tentativo di contenerla.
Ringraziò i discepoli per averlo coinvolto nella discussione, ma commentò: «Amare vuol dire tante cose. Impossibile rinchiuderle in una parola.»
Il gruppo però insisteva. Voleva il suo parere.
Allora il Maestro ricordò un pensiero cui era molto affezionato: «Nessun punto di vista può comprendere la vista. La vista, nella sua interezza, ci sfugge. Il nostro è sempre uno sguardo. 'Uno', appunto. Uno dei tanti. Non altro».
I discepoli chinarono il capo: ricordavano e condividevano.
Ma non volevano rinunciare a ricevere la parola del Maestro.
«Concordiamo con voi, Maestro: però per noi conoscere il vostro punto di vista sarebbe importante: cosa significa per voi amare?»
Il Maestro apprezzava l'insistenza nel voler sapere. Lo avevano sentito spesso ripetere: «Qualche volta la conoscenza arriva, ma sempre bisogna propiziarla: favorirla, cercarla, chiederla. Perché non si apprende solo aspettando, ma anche alzandosi e andando a prendere. Come ci ricorda l'etimologia.»
E finalmente disse: «So che discutete da stamattina all'alba. Avrete trovato senz'altro un punto di vista che vi convince più di altri. Ditemelo e vi dirò cosa ne penso».
Il gruppo era spiazzato: attendevano la definizione del Maestro, invece il Maestro ribaltava loro la domanda.
Poi tutta la sala fu percorsa da un lungo e interminabile mormorio: ognuno ricordava sottovoce al collega i risultati più apprezzati usciti dalla lunga discussione della giornata e li suggeriva per la comunicazione al Maestro.
Alla fine un discepolo si assunse il compito di riassumere il pensiero maggioritario del gruppo e a nome degli altri propose: «Maestro, si può dire che l'essenza dell'amare stia nell'accettare?».
Il Maestro commentò:
«Si può dire».
Il portavoce continuò:
«E quindi, Maestro, si può dire che non amare significhi rifiutare?».
Il Maestro commentò:
«Si può dire».
Il cerchio degli allievi, soddisfatto, si sciolse.
Tutti si alzarono e, inchinandosi al Maestro anche in segno di gratitudine per il contributo appena ricevuto, se ne uscirono dalla stanza uno dietro l'altro.
Tutti si alzarono e, inchinandosi al Maestro anche in segno di gratitudine per il contributo appena ricevuto, se ne uscirono dalla stanza uno dietro l'altro.
Uno solo, assorto, rimase in piedi, con gli occhi bassi.
Il Maestro gli si avvicinò e lo stimolò.
Il Maestro gli si avvicinò e lo stimolò.
«Ti vedo dubbioso. Hai per caso in mente un altro punto di vista sull'amare?».
Il discepolo scosse subito il capo.
«No, Maestro, condivido il risultato del gruppo e il commento che voi avete espresso. E' che...».
Fece una pausa.
«Sì, insomma, mi chiedo: perché ci capita di non accettare? Perché rifiutiamo? Perché non riusciamo sempre ad amare?»
Fece una pausa.
«Sì, insomma, mi chiedo: perché ci capita di non accettare? Perché rifiutiamo? Perché non riusciamo sempre ad amare?»
Il Maestro appoggiò con benevolenza una mano sulla spalla del giovane.
«Hai ragione, figliolo. La tua domanda è corretta. E come sempre, quando le domande sono vere, e quindi profonde, le risposte sono difficili.»
Il discepolo si sentì rinfrancato: il quesito allora non era infondato.
Ma fu subito turbato dal coinvolgimento, dolce ma fermo, del Maestro:
«E tu, ti sai dare una spiegazione di questo perché?».
Ma fu subito turbato dal coinvolgimento, dolce ma fermo, del Maestro:
«E tu, ti sai dare una spiegazione di questo perché?».
Il giovane si schermì:
«Non so, Maestro, ho provato a pensare. Ma ho pensieri solo confusi. E comunque la mia potrebbe essere solo una risposta, mentre io cerco la risposta».
Il Maestro offrì al discepolo un sorriso, amorevole ed empatico, che avrebbe voluto accarezzarlo tutto.
«Fai bene a cercarla, figliolo. Anch'io cerco sempre la risposta ai problemi che incontro, ma in genere ne ho una, di risposta: la mia. Forse talvolta è giusta - e lo saprò, se lo saprò, in seguito. Ma spesso è solo un seme per la risposta che verrà. Se verrà. E se la troverò. Dunque, rassicurati: se anche ciò che hai pensato non sarà che una risposta, servirà alla risposta».
«Non so, Maestro, ho provato a pensare. Ma ho pensieri solo confusi. E comunque la mia potrebbe essere solo una risposta, mentre io cerco la risposta».
Il Maestro offrì al discepolo un sorriso, amorevole ed empatico, che avrebbe voluto accarezzarlo tutto.
«Fai bene a cercarla, figliolo. Anch'io cerco sempre la risposta ai problemi che incontro, ma in genere ne ho una, di risposta: la mia. Forse talvolta è giusta - e lo saprò, se lo saprò, in seguito. Ma spesso è solo un seme per la risposta che verrà. Se verrà. E se la troverò. Dunque, rassicurati: se anche ciò che hai pensato non sarà che una risposta, servirà alla risposta».
Il giovane si avvicinò al Maestro e parlò con voce bassa: come di chi confida le sue incertezze.
E infatti gli uscirono di getto due interrogativi.
E infatti gli uscirono di getto due interrogativi.
«Forse rifiutiamo le persone che ci appaiono avere le caratteristiche negative che non ci piacciono in noi stessi? Forse, se accettassimo noi stessi anche per le cose negative che sono in noi, accetteremmo tutti e così riusciremmo ad amare?»
Poi rimase zitto per qualche secondo, come meravigliato lui stesso di aver osato esprimere il suo pensiero.
Ma si accorse che il Maestro aveva ascoltato con attenzione e stava riflettendo seriamente: allora ciò che aveva appena detto poteva avere un senso?
Prese coraggio e incalzò:
«Può essere che avvenga questo, Maestro?»
Poi rimase zitto per qualche secondo, come meravigliato lui stesso di aver osato esprimere il suo pensiero.
Ma si accorse che il Maestro aveva ascoltato con attenzione e stava riflettendo seriamente: allora ciò che aveva appena detto poteva avere un senso?
Prese coraggio e incalzò:
«Può essere che avvenga questo, Maestro?»
Il Maestro rispose:
«Può essere».
Tuttavia, la fronte corrugata diceva che nell'animo gli correva il fiume dei pensieri.
«Può essere».
Tuttavia, la fronte corrugata diceva che nell'animo gli correva il fiume dei pensieri.
Il giovane attese con pazienza.
Finché il Maestro si decise a condividere con il giovane il suo parere. Ma era in divenire, ancora basato su dei forse...
Finché il Maestro si decise a condividere con il giovane il suo parere. Ma era in divenire, ancora basato su dei forse...
«Forse dire che amare è accettare e che se noi accettassimo noi stessi sapremmo amare è riduttivo, oltre che quanto mai difficile da praticare. Forse basterebbe...».
Si fermò, esitando: non era sicuro di quello che stava per dire. Intuiva una forzatura. Eppure sapeva che spesso ciò che non è vero del tutto è vero in parte.
Il giovane rispettò i tempi del Maestro, senza incalzarlo.
E il Maestro riprese, sempre con quel suo atteggiamento che comunicava una sicurezza provvisoria, come sospesa in attesa di conferme.
«Forse basterebbe smettere di sforzarsi di voler capire cosa significa amare. Cominciare ad amare. Ed ecco che ameremmo».
Fece una pausa.
Poi concluse, un po' più convinto:
«In fondo, molto del conoscere si conosce conoscendo e molto del capire si capisce praticando».
Il discepolo aveva ascoltato con tutto se stesso.
Meditava.
Qualcosa non lo convinceva, ma non si azzardava: anche se il suo volto diceva che avrebbe voluto obiettare.
Il Maestro se ne accorse e lo incoraggiò:
«Sento le tue perplessità, figliolo, girare in testa e in pancia. Fammi partecipe. Sai quanto io apprezzi chi mi svela i suoi dubbi, soprattutto quando non è d'accordo con me. Siamo tutti discepoli: è la condizione che ci unisce. Nessuno nasce imparato e tutti stiamo imparando. E la condanna della vita è che nessuno, per quanto impari, diventerà mai imparato. Ma non è solo una condanna: è la bellezza della vita. »
Il giovane si rinfrancò: anche se sempre un po' titubante, vinse il timore.
«Maestro, voi affermate che si capisce praticando. E che anche amando si impara ad amare. Ma come faccio a praticare l'amore se non so cos'è l'amore?».
Il Maestro fece un lungo sospiro, allargando le braccia, come stesse per arrendersi al mondo.
«Anche questo è vero, figliolo».
Aspettò qualche secondo, poi rinforzò il commento, come parlando a se stesso:
«Sì. Molto, molto vero, ragazzo».
Rimase zitto per almeno un minuto, come per riordinare le idee.
Quando riprese la riflessione a voce alta, lasciò che tutte le parole che aveva dentro venissero fuori con pacatezza, ma anche con energia. E stavolta con una certa sicurezza.
«Vedi, ragazzo, hai avuto ora la conferma: sappiamo solo dare risposte semplici a domande complesse. Anch'io, nonostante i miei 'forse' e la mia antipatia per le sintesi facili, corro il rischio di dare per saputo ciò che ancora si deve sapere. Ci illudiamo di conoscere dando risposte, invece di lasciare aperte le domande. Invece di continuare a interrogarci. Invece di non smettere, senza fretta, ma con costanza e continuità, di chiederci, scavare, problematizzare. In fondo anche questo è amare. Un amare che va oltre le persone. Un amare cui forse non pensiamo quando cerchiamo il significato del verbo. E che probabilmente non stava nella definizione che vi ha impegnato tutto il giorno. Eppure non solo le persone si amano o non si amano. Anche la conoscenza si può amare. Per noi uomini, a differenza degli animali, anche questo significa amare la vita. Ecco, forse è questo il nostro compito. Pensare. Ripensare. Non accontentarsi. Tu lo stai facendo. Cerchi, metti in discussione, domandi, vuoi andare oltre. I tuoi fratelli, appena ricevute le mie parole sulla definizione che volevano, se ne sono andati. Gli è bastato il mio 'può essere' per farsi convincere di avere appreso tutto ciò che c'è da apprendere. Forse non amano ancora abbastanza: almeno la conoscenza, che è poi il vivere. Forse devono imparare ad amare di più. Lo proporrò come tema per il nostro prossimo incontro. E anche questa mia intenzione di comunicare loro l'affettuosa critica che adesso sto loro muovendo, e a te sto anticipando, può dirsi amore. Se non è amore, infatti, perché esplicitare, sempre con rispetto per l'altro e non per il gusto di volerlo umiliare, anche cose che spiacciono all'altro, ma che forse aiutano l'altro a crescere e a migliorare? Forse è amore credere caparbiamente che l'altro, come noi, può meglio diventare ciò che è se viene aiutato a farlo. Forse anche criticare è segno di interesse e accettazione dell'altro. Forse anche criticare è un modo di amare».
Il Maestro diede un buffetto sulla guancia del giovane, raccolse il cesto di legna che aveva riempito nel pomeriggio nel bosco e scherzò:
«Ho parlato anche troppo, ragazzo. Stavolta non mi sono limitato a dire 'può essere'. Ma troppe parole alla fine confondono. O restano solo parole che smettono di parlare. E' ora che ci ricordiamo che c'è un tempo per pensare e un tempo per accendere il fuoco, se non si vuole morire di freddo...».
Si diresse verso il camino, senza rinunciare a manifestare la sua contentezza al giovane che lo seguiva a lato:
«Grazie, figliolo. Hai dato legna al mio cervello e al mio cuore. Adesso, tuttavia, ci serve legna vera. Scaldiamoci e godiamoci il calore e la luce del fuoco. Non so tu, ma io amo il camino. Amo tutto del camino: le fiamme, il crepitio, le faville, il fuoco che a poco a poco si fa brace e cenere... E poi, il tepore che ti avvolge, la sonnolenza che ti prende, i sogni cui ti invita ad abbandonarti...».
Il discepolo aiutò il Maestro a scegliere i ceppi, insieme con i rametti secchi indispensabili per avviare il fuoco.
E fece finta di nulla quando sentì il Maestro borbottare tra sé, chino sul cesto e con un risolino birichino che tradiva il bambino che portava con sé nell'anima: «Ops, ho detto 'amare' anche a proposito del camino... E' diventato proprio un'ossessione oggi, questo verbo...».
Si fermò, esitando: non era sicuro di quello che stava per dire. Intuiva una forzatura. Eppure sapeva che spesso ciò che non è vero del tutto è vero in parte.
Il giovane rispettò i tempi del Maestro, senza incalzarlo.
E il Maestro riprese, sempre con quel suo atteggiamento che comunicava una sicurezza provvisoria, come sospesa in attesa di conferme.
«Forse basterebbe smettere di sforzarsi di voler capire cosa significa amare. Cominciare ad amare. Ed ecco che ameremmo».
Fece una pausa.
Poi concluse, un po' più convinto:
«In fondo, molto del conoscere si conosce conoscendo e molto del capire si capisce praticando».
Il discepolo aveva ascoltato con tutto se stesso.
Meditava.
Qualcosa non lo convinceva, ma non si azzardava: anche se il suo volto diceva che avrebbe voluto obiettare.
Il Maestro se ne accorse e lo incoraggiò:
«Sento le tue perplessità, figliolo, girare in testa e in pancia. Fammi partecipe. Sai quanto io apprezzi chi mi svela i suoi dubbi, soprattutto quando non è d'accordo con me. Siamo tutti discepoli: è la condizione che ci unisce. Nessuno nasce imparato e tutti stiamo imparando. E la condanna della vita è che nessuno, per quanto impari, diventerà mai imparato. Ma non è solo una condanna: è la bellezza della vita. »
Il giovane si rinfrancò: anche se sempre un po' titubante, vinse il timore.
«Maestro, voi affermate che si capisce praticando. E che anche amando si impara ad amare. Ma come faccio a praticare l'amore se non so cos'è l'amore?».
Il Maestro fece un lungo sospiro, allargando le braccia, come stesse per arrendersi al mondo.
«Anche questo è vero, figliolo».
Aspettò qualche secondo, poi rinforzò il commento, come parlando a se stesso:
«Sì. Molto, molto vero, ragazzo».
Rimase zitto per almeno un minuto, come per riordinare le idee.
Quando riprese la riflessione a voce alta, lasciò che tutte le parole che aveva dentro venissero fuori con pacatezza, ma anche con energia. E stavolta con una certa sicurezza.
«Vedi, ragazzo, hai avuto ora la conferma: sappiamo solo dare risposte semplici a domande complesse. Anch'io, nonostante i miei 'forse' e la mia antipatia per le sintesi facili, corro il rischio di dare per saputo ciò che ancora si deve sapere. Ci illudiamo di conoscere dando risposte, invece di lasciare aperte le domande. Invece di continuare a interrogarci. Invece di non smettere, senza fretta, ma con costanza e continuità, di chiederci, scavare, problematizzare. In fondo anche questo è amare. Un amare che va oltre le persone. Un amare cui forse non pensiamo quando cerchiamo il significato del verbo. E che probabilmente non stava nella definizione che vi ha impegnato tutto il giorno. Eppure non solo le persone si amano o non si amano. Anche la conoscenza si può amare. Per noi uomini, a differenza degli animali, anche questo significa amare la vita. Ecco, forse è questo il nostro compito. Pensare. Ripensare. Non accontentarsi. Tu lo stai facendo. Cerchi, metti in discussione, domandi, vuoi andare oltre. I tuoi fratelli, appena ricevute le mie parole sulla definizione che volevano, se ne sono andati. Gli è bastato il mio 'può essere' per farsi convincere di avere appreso tutto ciò che c'è da apprendere. Forse non amano ancora abbastanza: almeno la conoscenza, che è poi il vivere. Forse devono imparare ad amare di più. Lo proporrò come tema per il nostro prossimo incontro. E anche questa mia intenzione di comunicare loro l'affettuosa critica che adesso sto loro muovendo, e a te sto anticipando, può dirsi amore. Se non è amore, infatti, perché esplicitare, sempre con rispetto per l'altro e non per il gusto di volerlo umiliare, anche cose che spiacciono all'altro, ma che forse aiutano l'altro a crescere e a migliorare? Forse è amore credere caparbiamente che l'altro, come noi, può meglio diventare ciò che è se viene aiutato a farlo. Forse anche criticare è segno di interesse e accettazione dell'altro. Forse anche criticare è un modo di amare».
Il Maestro diede un buffetto sulla guancia del giovane, raccolse il cesto di legna che aveva riempito nel pomeriggio nel bosco e scherzò:
«Ho parlato anche troppo, ragazzo. Stavolta non mi sono limitato a dire 'può essere'. Ma troppe parole alla fine confondono. O restano solo parole che smettono di parlare. E' ora che ci ricordiamo che c'è un tempo per pensare e un tempo per accendere il fuoco, se non si vuole morire di freddo...».
Si diresse verso il camino, senza rinunciare a manifestare la sua contentezza al giovane che lo seguiva a lato:
«Grazie, figliolo. Hai dato legna al mio cervello e al mio cuore. Adesso, tuttavia, ci serve legna vera. Scaldiamoci e godiamoci il calore e la luce del fuoco. Non so tu, ma io amo il camino. Amo tutto del camino: le fiamme, il crepitio, le faville, il fuoco che a poco a poco si fa brace e cenere... E poi, il tepore che ti avvolge, la sonnolenza che ti prende, i sogni cui ti invita ad abbandonarti...».
Il discepolo aiutò il Maestro a scegliere i ceppi, insieme con i rametti secchi indispensabili per avviare il fuoco.
E fece finta di nulla quando sentì il Maestro borbottare tra sé, chino sul cesto e con un risolino birichino che tradiva il bambino che portava con sé nell'anima: «Ops, ho detto 'amare' anche a proposito del camino... E' diventato proprio un'ossessione oggi, questo verbo...».
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