che bastava non aver fretta
che quel muro aveva una porta
che ero io a vedere solo una crepa
che una luce aveva la notte buia e morta
che mi sentivo a metà
ma l’altra metà di me
era la mia nuova meta.
Come quando mi resi conto
che no, fretta no,
bisognava aver pazienza
che la vita non ti fa nessuno sconto
che avevo solo iniziato a tessere la tela
e diversi artefatti avrei messo a confronto
tanti quanti Penelope ne disfece nel buio profondo
mai, dico mai, uno pienamente mi soddisfaceva
ma l’altra metà era la mia nuova meta
e imparai la pazienza
entrai per quella porta velata di mestizia
e baciai più volte quella crepa
Penelope disfaceva la notte per furbizia
io disfacevo il giorno per disperazione
ma sapevo che era da preferire
un’azione sbagliata all’inazione.
Stanca ed instancabile
tessevo e disfacevo
ogni risultato labile
e sembravo gettare vernice luminosa
sulla parola DISFARE
la parola brillava
la parola mi accecava
ma dovevo continuare
E allora
datemi tessuti pregiati
pregni di simboli, significati
niente acrilico o poliestere,
di sintetico io niente devo tessere
io non voglio sintetizzare
non voglio ridurre costi, tempi,
il mio lavoro facilitare
perché i miei artefatti
ormai malfatti i più se li possano comprare.
No.
Datemi tessuti pregiati
perché io possa usarli per creare
simboli, significati
datemi tessuti naturali
che svelino fra le fessure la mia natura
con i disegni più svariati
con i disegni contaminati
ma, soprattutto, voi,
fratelli tutti,
datemi
le vostre spalle
affaticate:
è per voi
il calore
delle mie stoffe riuscite
delle mie stoffe tentate
*** Roberta TRUSCIA, 1994, Fare e disfare, da Sorelle e fratelli, in 'Fili d'aquilone', n. 52, maggio-agosto 2019, qui
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