mercoledì 12 giugno 2019

#SENZA_TAGLI / Da un frecciarossa all'altro (Bruno Mastroianni)

Frecciarossa, da qualche parte nelle campagne emiliane. Il nostro treno ne sta affiancando un altro, fermo. Prenderemo a bordo con noi i suoi passeggeri. Sì, abbiamo capito bene, non è un errore nell’avviso: c’è un treno colmo di persone bloccato in mezzo al nulla e tocca a noi fare l’operazione di recupero. Tra passeggeri ci guardiamo, dissimulando con sorrisi tirati la preoccupazione per la situazione. Non è il nervosismo per il ritardo, quello è emerso già diverso tempo prima quando il treno ha iniziato a rallentare e ad annunciare a botte di 10’ in 10’ il prolungarsi della corsa. Siamo preoccupati per una cosa diversa: dove metteremo gli altri passeggeri visto che il treno è pieno? Qualcuno pensa dentro di sé “perché non li aiutiamo sul treno loro?”. Ma vogliamo sentirci esseri umani e cacciamo questo pensiero. Qualcuno fa una battuta, qualcun altro torna a far finta di lavorare... in realtà in molti guardiamo preoccupati in direzione delle porte. Così, dopo qualche minuto, tutto ha inizio: una processione di persone sudate e tese (il trasbordo è avvenuto alle 14:30 sotto il sole cocente) inizia a comparire dalla porta in fondo e sfila lungo il corridoio del vagone, in cerca di posto, anche se di posti non ce ne sono molti. Mentre il passaggio di esseri umani continua, qualcuno incrocia lo sguardo di chi è seduto e si forma a tratti un certo imbarazzo misto a fastidio, anzi a dire il vero è proprio imbarazzo nel provare fastidio di fronte a persone in difficoltà a cui è toccato un treno guasto. La situazione poi peggiora: la transumanza raggiunge il punto di saturazione e rallenta fino a fermarsi. Il corridoio centrale ora è pieno di un unico lungo cordone di persone una dietro l’altra. Si stringono sempre più, si ammassano. Valige enormi, una signora anziana con un carrellino per aiutarsi a camminare, turisti con borsette e borsoni, uomini con le giacche eleganti stropicciate e sudate. Noi seduti lì, tutto sommato comodi, fortunati, a guardare questo serpentone di umani così vicini a noi, ma così lontani. Si creano così come due treni separati: uno che si dipana sui sedili ai lati, fatto di persone sedute e comode, e uno centrale, un millepiedi di esseri sudati e affaticati che si ammassano l’uno sull’altro nel corridoio. Ognuno sta nella sua schiera e si trincera mentalmente al suo interno. Soprattutto chi, dal suo comodo sedile, immagina cosa vorrà dire arrivare fino a Milano in quelle condizioni, e non ne vuole far parte nemmeno col pensiero. Poi succede qualcosa. Un tizio sulla quarantina (stavo per dire ragazzo, ma solo perché coetaneo) fa velocemente il suo zaino, raccoglie le sue cose, si alza infilandosi nell’ammasso umano e dice: “si sieda qui signora”. Si sta rivolgendo a una donna straniera con uno zaino gigante e l’espressione provata dal sudore. La signora sorride e fa la faccia come per dire “ma che davero?” (sì, come se lo dicesse in romanesco). Poi si siede, mentre il 40enne si guadagna il suo spazio in quella specie di fila umana in stallo. A quel punto anche qualcun altro inizia a fare qualcosa: più spazio per sistemare le valige degli altri, scorrere più avanti per arieggiare un po’ la fila... insomma in un modo o nell’altro ci si aggiusta per rendere più vivibile la situazione. Così, mentre ripartiamo lasciandoci alle spalle il convoglio guasto, immobile in mezzo al nulla come un enorme verme rosso senza vita, ci guardiamo di nuovo tra noi: quel confine prima così netto tra i due treni ora è sfumato e non si vede più tutta quella differenza tra chi sta seduto e chi in piedi, chi asciutto e chi sudato. L’unica cosa che conta ora, per tutti, è arrivare a Milano.

*** Bruno MASTROIANNI, filosofo, esperto di comunicazione, facebook, 11 giugno 2019, qui


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