Uno dei miei esempi preferiti in proposito è un episodio che accadde durante le Olimpiadi invernali del 1964. In quell’occasione l’italiano Eugenio Monti, il più grande campione di bob di tutti i tempi, era impegnato in una gara di bob a due. La squadra italiana segnò un ottimo tempo nella prima manche. Lo stesso fece la squadra inglese guidata da Tony Nash. Nella discesa successiva Monti era in testa, e si rese conto che lui e il suo compagno avrebbero vinto l’oro se gli inglesi non li avessero superati.
Mentre si preparavano per la seconda discesa, gli inglesi scoprirono che durante la prima gara si era rotto un bullone del ponte posteriore e non ne avevano uno di ricambio. Non avevano scelta: dovevano rinunciare. Ma Monti, che stava aspettando la conferma del suo tempo di gara in fondo alla pista, venne a sapere che cosa era successo alla squadra inglese: subito tolse il bullone dal proprio bob e lo diede agli avversari. La squadra di Nash lo utilizzò, disputò la gara e vinse la medaglia d’oro. Monti e il suo compagno finirono al terzo posto.
Nash non avrebbe potuto ricambiare Monti in alcun modo, e Monti non avrebbe potuto trarre alcun vantaggio dall’aver aiutato Nash, ma lo fece lo stesso.
Le critiche della stampa italiana furono terribili, ma lui rispose che avrebbe accettato la vittoria solo se realmente era il migliore. «Tony Nash non ha vinto perché gli ho dato il bullone», spiegò Monti; «ha vinto perché era il migliore».
*** John C. MAXWELL, 1947, esperto statunitense di leadership, Etica & Affari. La regola d’oro del successo, 2003, Sperling & Kupfer, Milano, 2006.
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