Che l'antifascismo parolaio, giocato retoricamente come mezzo per compattare unità di comodo, solo per sfuggire alla difficile e paziente opera di costruzione di una politica 'vera' fatta di contenuti seri e incisivi, sia una scelta possibile non lo scopriamo ora.
E' già accaduto. E accade.
Incapaci di creare 'egemonia culturale' e 'connessione sentimentale' su azioni che contrastino duramente il presente e lo cambino con riforme radicali, e non di facciata o, peggio, regressive, soprattutto oggi certi partiti (quelli che aspirano ad essere in qualche modo considerati 'progressisti') preferiscono aggiustare la 'forma' (lo storytelling, o lo stile di comunicazione), anziché operare sulla 'sostanza' (le scelte di campo dettate dai contenuti).
In questa logica - molti dicono - torna facile ingrandire fenomeni limitati, o addirittura inventare un nemico che non c’è, così credendo di risolvere la disaffezione crescente, il qualunquismo montante, l'astensionismo ormai patologico.
In sintesi - e sempre secondo questo pensiero corrente - si muovono appelli al coinvolgimento di tutti, immaginando ‘fronti’ comuni, più o meno ‘repubblicani’, per combattere un semplice fantasma: un fascismo morto settant'anni fa con il suo fondatore e che nessuno può più resuscitare.
E' l'accusa che oggi viene rivolta, specie da certo populismo più nazionalista, alla sinistra: sia a quella che giustamente può (ancora) chiamarsi tale, ormai però presente in tracce che rischiano di sfuggire persino al microscopio, che a quella che continua ad abusare del termine (di cui infatti ogni tanto si vergogna), nascosta o comunque disseminata in quel centrosinistra vago e vuoto, tuttora incapace di scrollarsi di dosso la malattia renziana, e che all'azione preferisce l’indigestione di pop-corn mentre attende che passi il cadavere degli avversari (senza sapere che il proprio cadavere, anche per questo suo comportamento, se non è ancora passato, sta per passare).
Muovo alcune considerazioni a partire da questa lettura.
Che da parte di ciò che resta del renzismo e dei troppi ancora 'diversamente renziani' sfuggiti ad una autocritica doverosa, ma evitata come la peste, ci sia volontà di strumentalizzazione per (illudersi di) trovare una via d’uscita indolore, alla sconfitta storica subita, soltanto brandendo un antifascismo retorico, mi pare indubbio. Ma rifiutare una simile manipolazione non significa accettare di tacere ciò che si vede: se non si è ciechi o intellettualmente scorretti. Perché la questione, seria da tempo, può diventare drammatica, se all'antifascismo rituale che non costa nulla proclamare dal caldo dei salotti non si sostituisce una politica, antifascista nella sostanza, che riconosca la deriva di destra e da qui parta per dare risposte che recuperino, in chiave di sinistra e con contenuti di sinistra, il popolo dei troppi dimenticati, poveri e deboli.
Mi è già capitato di ripetere, ben prima che si formasse il governo giallo-'verde' (oggi correttosi in giallo-'blu' e sempre più tendente al giallo-'nero') che nessuna persona sana di mente può credere a un ritorno 'tal quale' del fascismo storicamente affermatosi nel Novecento.
Ma se intendiamo il termine fascismo nella sua 'dimensione psico-culturale' (xenofobia, razzismo, arroganza, autorefenzialità, violenza) e nella sua 'dimensione relazionale' (l'approccio, il metodo, lo stile di rapporto, la comunicazione umiliante e oggettificante verso l'altro-diverso-da noi), mi pare incontestabile che stiamo vivendo una situazione quanto meno preoccupante. E mi pare un fatto che la trazione leghista del governo attuale, con un Salvini che gode di un consenso ogni giorno più rampante registrato virtualmente nei sondaggi (oggi sarebbe addirittura a capo di un partito primo per intenzioni di voto), stia, nello stesso tempo, dando sbocco e alimentando sentimenti profondi e 'scuri' nella pancia del Paese: sentimenti diffusi che, se non sono (ancora?) ‘fascisti’, certo tendono al ‘fascistoide’. E ciò anche in persone che, se accusate di questo, rifiuterebbero con sdegno una simile etichettatura.
Insomma: se non esiste un’Italia diventata culturalmente fascista, si sta tuttavia affermando, neanche più tanto sotto traccia, un clima generale 'fascistoide', fatto di emozioni e pensieri, che danno sfogo a pulsioni violente e ‘cattiviste’, sempre più gridate e considerate ‘normali’, pericolose per una civile convivenza democratica.
Insomma: se non esiste un’Italia diventata culturalmente fascista, si sta tuttavia affermando, neanche più tanto sotto traccia, un clima generale 'fascistoide', fatto di emozioni e pensieri, che danno sfogo a pulsioni violente e ‘cattiviste’, sempre più gridate e considerate ‘normali’, pericolose per una civile convivenza democratica.
Un esempio, a mio parere, di sottovalutazione di questa atmosfera crescente è la linea, accentuatasi dal varo del governo 5S-Lega, tenuta da ‘Il Fatto Quotidiano’, impersonata dal suo direttore Marco Travaglio e da molti suoi collaboratori. Non tutti, per la verità: Furio Colombo, ad esempio, anche in forza della sua indiscussa autorevolezza di giornalista, saggista e ex parlamentare, esercitata pure nella rinata ‘Unità’ di anni fa quando fu direttore, tra gli altri, proprio di Travaglio che lì pubblicava le sue periodiche rubriche anti-sistema sempre sferzanti e minuziosamente argomentate, non ha timore di stigmatizzare, con forza, tutti i comportamenti 'parafascisti' messi in atto dal governo attuale sotto la spinta, non più solo parolaia e propagandistica, del ministro dell’Interno e vicepremier. Ne è prova un suo duro articolo, intitolato Trump e Salvini, rabbia e vendetta, pubblicato su ‘Il Fatto Quotidiano’ del 24 giugno, in cui avanzava il paragone estremo Salvini-Eichmann, suscitando prima la reazione indignata e insultante di Salvini e della destra in generale e poi la solidarietà di Travaglio e della intera redazione.
A parte la voce di Furio Colombo, tuttavia, la posizione prevalente dei commentatori del 'Fatto' resta accomodante. Certo: non sono mancate, sin dalla gestazione del governo, una volta caduta l’ipotesi guardata con simpatia di accordi con un Pd che si auspicava finalmente derenzizzato, le critiche anche nette e sfottenti alle ‘uscite’ pubbliche di Salvini: lo conferma la recente nascita della rubrica quotidiana ‘Il Cazzaro Verde’, dopo un fondo del direttore dallo stesso titolo. Ma nell’insieme, il rischio per il Paese di una caduta in una pesante regressione culturale di destra reazionaria (per principi, valori, etica/civile), è a mio avviso pesantemente sottovalutato. E il pericolo Lega continua a essere minimizzato.
Per quanto mi riguarda resto totalmente d’accordo con Tomaso Montanari e la sua ‘lettera’, indirizzata proprio a Travaglio il 16 maggio 2018, pubblicata con il titolo Con la Lega fascista non si tratta. L’affermazione è purtroppo superata, perché la trattativa si è risolta in una alleanza operativa di governo, per giunta con una Lega debordante e sostanzialmente in posizione di comando.
Ma non è superata, sempre a mio modesto parere, l’aggettivazione di 'fascista' attribuita alla Lega.
E per chi volesse qualche elemento di fatto in più, anche proprio sullo specifico tema del fascio-leghismo (e sulle contaminazioni tra 'fascismo organizzato' e certo leghismo estremo portato alla facile collusione con gruppi ideologici dichiaratamente nazifascisti), segnalo la lettura di un libro appena uscito, iperdocumentato, di un giornalista di ‘Repubblica’ che segue da anni le vicende del ‘mondo nero’ italiano, al punto da essere obbligato, come ormai accade a troppi giornalisti, a vivere sotto protezione. Mi riferisco a Paolo Berizzi, NaziTalia. Viaggio in un Paese che si è riscoperto fascista, Baldini+Castoldi, 2018. Nello sfogliare le pagine, qualche brivido non mancherà di scorrere per la schiena. In caso contrario, avremo un elemento in più di preoccupazione.
*** Massimo FERRARIO, Per un antifascismo non retorico e strumentale, per Mixtura
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