Davide VECCHI, "Matteo Renzi. Il prezzo del potere"
Chiarelettere, 2016
pagine 170, € 13,00, ebook € 8,99
Quasi un thriller
Poco meno di due anni fa, il successo di Matteo Renzi, l'intoccabile. Ora, il seguito, logico e necessario, di Matteo Renzi, il prezzo del potere.
Chi era rimasto catturato dalla storia della prima parte dell'ascesa del politico che prometteva rottamazione e cambiamento (per il bene dell'Italia, naturalmente), non rimarrà certamente deluso da questo secondo capitolo, perché si confronterà con una cavalcata al galoppo, avvincente come un thriller: ancora una volta supportata da carte, documenti, fatti che danno conto di come la ricerca ossessiva del potere abbia dato i suoi frutti.
Naturalmente, il prezzo pagato è alto: ma in fondo, nulla di nuovo. Quando il potere diventa, nelle azioni e al di là dei proclami, l'unica bussola per cui si corre, servono dosi sempre pronte e abbondanti di cinismo, trasformismo, opportunismo, miscelate con arroganza e spavalderia.
Forse, ciò che stona, in questo caso, è il contrasto davvero stridente dei comportamenti, che Davide Vecchi sa squadernarci davanti grazie a una documentazione rigorosa e incalzante, rispetto alla retorica zuccherosa dei proclami usati come mantra quotidiano per illudere i troppi follower in cui ormai si sono trasformati i cittadini. Ma se questo accade, una riflessione altrettanto impietosa, oltre che su un uomo che si vanta di essere 'solo al comando', prigioniero di un Io ipertrofico e autoreferenziale, andrebbe condotta su tutti noi: la maggioranza che continua, fino ad oggi almeno, a bersi ogni sedicente elisir le venga propinato, vuoi per ragioni interessate (la partecipazione, vera o fantasticata, anche a minime quote di potere che comunque fanno sognare di poter contare), vuoi per credulità facile e a buon mercato, alimentata da ignoranza e colpevole disinteresse per la vita di una democrazia.
Il saggio, dicevo, corre in scioltezza e in poco più di due ore, un po' sconsolati e amareggiati nonostante il disincanto cui da tempo siamo abituati, si gira l'ultima pagina: il coinvolgimento, anche per chi segue giornalmente i fatti della politica italiana e quindi è avvezzo a non farsi troppo sorprendere, è garantito. Ci si cala in un'atmosfera nota, ma si ha il guadagno di ritrovare, negli accadimenti quotidiani seguiti sulla stampa in corso d'opera, un ordine e un senso che nell'immediato spesso sfugge.
Il rimando al thriller non è forzato: l'autore sa centellinare e far crescere la tensione, anche grazie ad uno stile giornalistico effervescente e pressante. Certo, manca il finale, perché tutto è ancora in divenire: e la speranza, naturalmente, è che qui l'analogia non funzioni più e l'epilogo, che nella realtà è sempre anche un nuovo prologo, non acquisti la tinta del dramma.
In questo caso l'autore non avrà merito perché la responsabilità sarà solo nostra: lui, se mai, comunque vadano le cose, sarà pronto per una terza puntata.
Comunque benvenuta.
*** Massimo Ferrario, per Mixtura
«
Il 12 febbraio 2014, a Palazzo Chigi, Letta riceve Renzi. «Io da te voglio chiarezza, vuoi il mio posto? Bene, è tuo, accomodati, ma prenditelo alla luce del sole» intima il premier, che poi gira i tacchi e va a illustrare in conferenza stampa i punti principali del «patto di coalizione Impegno Italia» da proporre ai partiti di maggioranza per rilanciare l’azione dell’esecutivo. Sa benissimo che il suo governo non ha alcun futuro ma, appunto, vuole mostrarsi vivo davanti al nemico, un modo per intervenire al duello e dire: «Io ci sono, aspetto che anche tu abbia il coraggio di presentarti davanti a tutti». Renzi non si fa pregare e lo accontenta il giorno successivo, ma anche in questo caso non agisce direttamente e si fa schermo del Pd.
Il 13 febbraio la direzione nazionale del Partito democratico approva con 136 sì (16 no e 2 astenuti) una mozione proposta dal segretario in cui si chiedono le dimissioni di Letta e la formazione di un nuovo governo. La stessa direzione approva la nascita di un nuovo esecutivo guidato da Renzi. E così il sindaco di Firenze mette all’angolo anche Napolitano: l’incarico di formare un nuovo esecutivo il capo dello Stato deve darlo a lui.
Il fatto che un partito (che fra l’altro si autodefinisce democratico) si comporti come un soviet e sfiduci un capo di governo è ovviamente una notizia. La mattina del 14 febbraio è perciò su tutti i quotidiani del mondo. (...) La stampa italiana, invece, a parte pochissime eccezioni, esulta col nuovo capo.
Senza neanche poter passare per l’aula, il 14 febbraio Enrico Letta riunisce il consiglio dei ministri, poi va da solo dal presidente della Repubblica, alla guida di una Delta grigia, e rassegna dimissioni irrevocabili. Un colloquio di appena un’ora durante il quale il capo dello Stato gli rinnova l’invito ad accettare il dicastero dell’Economia nel futuro governo Renzi e, di fronte al suo fermo diniego, quasi lo prega: per lui sarebbe una garanzia. Letta ringrazia ma spiega che non può proprio accettare. (Davide Vecchi, "Matteo Renzi. Il prezzo del potere", Chiarelettere, 2016)
Il 13 febbraio la direzione nazionale del Partito democratico approva con 136 sì (16 no e 2 astenuti) una mozione proposta dal segretario in cui si chiedono le dimissioni di Letta e la formazione di un nuovo governo. La stessa direzione approva la nascita di un nuovo esecutivo guidato da Renzi. E così il sindaco di Firenze mette all’angolo anche Napolitano: l’incarico di formare un nuovo esecutivo il capo dello Stato deve darlo a lui.
Il fatto che un partito (che fra l’altro si autodefinisce democratico) si comporti come un soviet e sfiduci un capo di governo è ovviamente una notizia. La mattina del 14 febbraio è perciò su tutti i quotidiani del mondo. (...) La stampa italiana, invece, a parte pochissime eccezioni, esulta col nuovo capo.
Senza neanche poter passare per l’aula, il 14 febbraio Enrico Letta riunisce il consiglio dei ministri, poi va da solo dal presidente della Repubblica, alla guida di una Delta grigia, e rassegna dimissioni irrevocabili. Un colloquio di appena un’ora durante il quale il capo dello Stato gli rinnova l’invito ad accettare il dicastero dell’Economia nel futuro governo Renzi e, di fronte al suo fermo diniego, quasi lo prega: per lui sarebbe una garanzia. Letta ringrazia ma spiega che non può proprio accettare. (Davide Vecchi, "Matteo Renzi. Il prezzo del potere", Chiarelettere, 2016)
Da Empoli, prima consigliere politico di Renzi e oggi presidente del Gabinetto Vieusseux, celebre istituzione culturale di Firenze, per molto tempo è davvero convinto che il suo amico Matteo sia «l’uomo nuovo», ma sarà costretto a ricredersi. Fa parte della giunta comunale guidata da Renzi, ma il sindaco, nonostante il legame stretto, non esita a cacciarlo dal Giglio magico. Per un’inezia: un veleno messo in giro ad hoc. L’assessore, infatti, viene accusato di aver spifferato ai giornali i tentativi del primo cittadino – poi andati a vuoto – di avvicinare il presidente statunitense Bill Clinton in visita a Firenze nel 2012. I quotidiani locali riportano i rocamboleschi agguati dell’allora candidato alle primarie in cerca di una foto con l’uomo più potente del mondo. La classica foto opportunity. Renzi ci prova in tutti i modi: dopo aver fallito la strada ufficiale, rimbalza fuori dai ristoranti dove l’ex numero uno della Casa bianca pasteggia; fa le poste sotto il suo albergo e tenta, infine, di braccarlo all’aeroporto il giorno del rientro negli Usa. Niente da fare, a Peretola viene addirittura tenuto a distanza, oltre le transenne. Tanta fatica ma niente foto. E, in più, lo sberleffo sui giornali. Matteo si convince che sia stato proprio Da Empoli a raccontare tutto alla stampa. Lo immagina divertito e così lo elimina. Lo parcheggia nel purgatorio degli ex renziani.
Un limbo in cui finiscono in molti: chi tradisce il capo, chi tenta di fregarlo, chi parla senza permesso. Da Empoli è un intellettuale e non se ne fa un problema. Anzi, confida ad amici fiorentini: «Bischero lui a non capire a chi dar credito e a chi no». (Davide Vecchi, "Matteo Renzi. Il prezzo del potere", Chiarelettere, 2016)
Un limbo in cui finiscono in molti: chi tradisce il capo, chi tenta di fregarlo, chi parla senza permesso. Da Empoli è un intellettuale e non se ne fa un problema. Anzi, confida ad amici fiorentini: «Bischero lui a non capire a chi dar credito e a chi no». (Davide Vecchi, "Matteo Renzi. Il prezzo del potere", Chiarelettere, 2016)
Nel periodo in cui Renzi è sindaco di Firenze, la cerchia intorno a lui si trasforma in un clan. Una ragazza dello staff di Palazzo Vecchio viene addirittura emarginata perché il suo compagno, un giornalista, si permette di sollevare dubbi sull’operato del primo cittadino. Subisce un vero e proprio mobbing. Fin quando le spiegano il problema: «Non sei tu ma è lui». Viene sostanzialmente costretta a lasciarlo. Poi le presentano «l’uomo giusto per te», con il quale si sposerà: ora entrambi lavorano alla corte del primo cittadino. Ma è solo uno dei tanti casi che aiuta a capire bene quale sia il clima in Comune: un bunker nel quale il rottamatore pianifica la sua avanzata romana. (Davide Vecchi, "Matteo Renzi. Il prezzo del potere", Chiarelettere, 2016)
«Io voglio ministri leggeri, leggeri: il governo sono io perché se qualcuno sbaglia vado a casa io» spiega Renzi ad alcuni ex «suggeritori» con i quali è rimasto in buoni rapporti ma che hanno preferito allontanarsi dal circo del rottamatore. E sono molti. Tutti confermano quanto ami da sempre circondarsi di comparse. Anche in Comune, da sindaco, ripete spesso: «Dovete giudicare me, gli assessori sono lavoratori precari per eccellenza». (Davide Vecchi, "Matteo Renzi. Il prezzo del potere", Chiarelettere, 2016)
»
In Mixtura la mia recensione al libro precedente di Davide Vecchi, "Matteo Renzi. L'intoccabile", Chiarelettere, 2014, qui
Nessun commento:
Posta un commento