venerdì 13 maggio 2016

#LIBRI PIACIUTI / Il Fatto Personale, di Antonio Padellaro (recensione di M. Ferrario)

Antonio Padellaro, "Il Fatto Personale
Giornali, rimorsi, vendette"
Paper First-Il fatto Quotidiano, 2016
pagine 164, €12.00

Un romantico corsaro
Scivola via che è un piacere. Poco più di due ore e ti accorgi che sei arrivato all'ultima pagina solo perché il capitolo finale è intitolato epilogo e dunque una fine ha da esserci: ma il clima creatosi nella lettura è tale che vorresti continuare. 

Il Fatto Personale di Antonio Padellaro è un racconto autobiografico di un giornalista di lungo corso, con una carriera professionale autorevole e di successo (dal 'Corriere della Sera' a 'L''Espresso' a 'l'Unità), il quale negli ultimi anni, proprio quando la crisi della carta stampata lo sconsiglierebbe, compie il folle azzardo di inventarsi un nuovo giornale, 'Il Fatto Quotidiano'. Ed è subito successo: contro le previsioni di quasi tutti, che negavano potesse esserci ancora spazio nel mercato sempre più asfittico della stampa e giuravano su un flop dopo pochi mesi di sopravvivenza.

Si possono avere opinioni diverse sul giornalismo corsaro che Antonio Padellaro ha praticato, specie negli ultimi anni, con 'l'Unità' e 'Il Fatto Quotidiano', sempre insieme a Marco Travaglio (che oggi ha preso il suo posto alla direzione del 'Fatto'). E le critiche, irritate e spesso insultanti, di chi si sente oggetto della sferza di un approccio che cerca di raccontare la realtà senza sconti per nessuno, oppure di chi privilegia l'ideologia dell'appartenenza rispetto al pensiero critico, sono lì dimostrare che l'approccio è davvero inusuale e disturbante, perché spiazza un Potere in Italia da sempre abituato al 'servo encomio'. 
Però, anche leggendo il libro, si ha la conferma che ciò che può spingere a praticare un giornalismo fuori dagli schemi, qualche volta tanto azzardato da sfiorare l'avventatezza, è l'entusiasmo per un mestiere che dovrebbe essere costruito attorno ai fatti più che alle opinioni: e quindi un giornalismo soprattutto di inchiesta. L'entusiasmo per la notizia, da cacciare come il cane insegue il tartufo, si unisce alla ricerca il più possibile verificata della 'verità', contro ogni seduzione del Potere o richiamo conformistico della categoria: è questa la passione professionale che sembra pilotare Padellaro e che traspare con chiarezza dalla sua autobiografia. 

Sono squarci, vividi e impressivi, di storia anche italiana, oltre che di vissuti personali e professionali, tenuti insieme da uno stile veloce, incalzante, talvolta ironico. Momenti rivelatori, anche inediti, del piccolo e grande mondo politico e giornalistico frequentato in 40 anni di mestiere. Ricordi di vita famigliare e confessioni sugli inizi della professione, come per tutti i colleghi avviatasi non certo con la vincita di concorso pubblico, ma grazie a parentele e conoscenze. 
La parte però che fa vibrare di più l'autore, e il lettore lo avverte in alcuni momenti come fosse in presa diretta, è l'avventura finale, la scommessa della sua vita: la preparazione, il lancio, la navigazione dei sei anni di direzione del Fatto Quotidiano. 
La scelta di indipendenza, attuata e non solo proclamata, e la conseguente volontà di 'stare ai fatti' senza curarsi dello status o del potere di chi ne è autore, costano. Scrive Antonio Padellaro: «In soli sei anni verrà chiesto all'autorità giudiziaria di procedere per ben 471 volte contro il Fatto Quotidiano in sede penale e civile. Ma, soprattutto, ci verranno richiesti risarcimenti per un totale di 141 milioni di euro». 
Se si cala nel contesto, si comprende che l'affermazione non è vittimismo e non è vanteria, ma vuole solo registrare, ancora una volta, dei fatti. Certo è comunque che anche questa confessione dice lo spirito romantico e garibaldino con cui Padellaro e la sua navicella pirata intendono, e praticano, il mestiere di giornalista. Almeno per quelli che amano la 'schiena diritta' e non ne possono più della cappa di conformismo e di pensiero unico che ci avvolge, è rassicurante.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

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In questo Paese, infatti, abbiamo prestigiose scuole di giornalismo e superdirettori che salgono in cattedra per spiegare alle reclute della parola scritta la fondamentale differenza tra notizia e commento. Sacrosanto. Il problema però è un altro: la notizia, come prima cosa, si deve dare mentre spesso e volentieri la si evita. Non si pubblica perché è scomoda, perché agisce l'autocensura. Non c'è bisogno che il potente intervenga perché direttori e cronisti lo sanno da soli che certe storie è meglio cestinarle. E' peggio che nei paesi totalitari, in cui il black out dell'informazione è motivato dalla minaccia concreta di scomparire professionalmente e, talvolta, pure fisicamente. Posso capire che nella Russia di Putin, nella Bielorussia di Lukashenko o nella Corea del Nord di Kim Jong-un, i giornali siano "vuoti". Ma qui da noi assolutamente no. (...) 
In molte testate quando il cronista porta uno scoop che riguarda i potenti spesso sorge un problema che si risolve in due modi: o si capisce l'antifona e si rinvia la pubblicazione dell'inchiesta fino a farla dissolvere nel dimenticatoio, oppure si cerca di raggiungere l'obiettivo con l'aiuto di colleghi di altri giornali, perché l'unica motivazione che può convincere un direttore riluttante è la minaccia che qualcun altro pubblichi la notizia. Ed è mortificante. Credo che in un Paese civile l'informazione non dovrebbe essere ridotta così. Un giornalista che si mette d'accordo con un collega per dare insieme la stessa notizia su giornali evidentemente concorrenti negli Stati Uniti sarebbe cacciato dal proprio editore. In Italia, invece, questo comportamento è una forma di tutela, a garanzia della libertà e della correttezza delle informazioni che sono divulgate. (Antonio Padellaro, "Il Fatto Personale, Giornali, rimorsi, vendette", Paper First-Il fatto Quotidiano, 2016)

«L'unico peccato che non mi perdono è avere costretto qualcuno a provare vergogna di se stesso» scrive Oscar Wilde.
Profondamente diverso dal tradimento degli altri, infatti, è il tradimento di se stessi. Di ciò che si pensa. Di ciò che si crede. Di ciò che si è intimamente dentro. E non perché c'è qualcuno che ti applica ai testicoli scariche ad alto voltaggio. O minaccia la vita dei tuoi cari. E forse non lo fai neppure per avidità, per ottenere denari, onori, successo. No, rinneghi il tuo io solo per volontà di sottomissione. Per blandire, assecondare, lisciare il tuo signore e padrone. Ecco, è questo che ho trovato insopportabile del berlusconismo. (Antonio Padellaro, "Il Fatto Personale, Giornali, rimorsi, vendette", Paper First-Il fatto Quotidiano, 2016)
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