Londra 1912. “Le donne non hanno il temperamento calmo né l’equilibrio mentale per esprimere un giudizio nelle questioni politiche. Se permettiamo alle donne di votare, sarà la perdita della struttura sociale. Le donne sono ben rappresentate dai loro padri, fratelli e mariti. Una volta concesso il voto sarebbe impossibile tornare indietro; le donne chiederanno il diritto a diventare parlamentari, ministri, giudici…”
Un film che comincia con queste parole, sai già che è un film che ti rimarrà dentro per sempre, perché le parole hanno un peso ed è difficile cancellarle una volta che si sono sedimentate.
Ad un occhio superficiale Suffragette può sembrare una storia come ce ne sono state tante di donne che hanno lottato per avere pari diritti all’inizio del XX secolo. Certo questa percezione cambia quando ci rendiamo conto che è una storia vera, ma sono fiduciosa del fatto che voi che lo guarderete non sarete così superficiali da fermarvi qui, che uscendo dal cinema non penserete “bel film” senza la voglia di aprire Google e documentarvi. Con un nodo alla gola ed emozioni contrastanti io ho sentito il bisogno di fare ricerche e magari anche con la voglia di facilitarvi il compito.
Non pensate che un bel mattino qualche casalinga annoiata abbia pensato di voler essere trattata alla pari degli uomini, non abbiate la presunzione di dire “perché svegliarsi ora”. Le donne in tutto il mondo lottano per i propri diritti dal momento in cui monarchie e dittature hanno visto crollare le proprie fondamenta: dopo la Rivoluzione Francese e l’istituzione delle democrazie in Europa, le Costituzioni furono riscritte ed è stato in quel momento di ipocrita libertà che sono nati i primi movimenti di emancipazione femminile.
Nel Regno Unito, il movimento delle suffragette vide la luce nel 1869, ma fu solo nel 1903 che cominciò a prendere piede, grazie alla fondazione del WSPU (Women’s Social and Political Union) ad opera di Emmeline Pankhurst.
La Pankhurst è figlia dell’alta borghesia inglese, a 7 anni il padre le sussurra “Se solo fossi maschio…” e lì decide di dedicare la sua vita ai diritti delle donne.
La Pankhurst, interpretata da Meryl Streep, è il fulcro intorno a cui ruota un gruppo di attiviste inglesi guidate da Edith Ellyn (Helena Bonham Carter) e di cui fanno parte Violet Miller (Anne Marie Duff), la moglie di un parlamentare Alice Haughton (Romola Garai), Maud Watts (Carey Mulligan) e Emily Davison (Natalie Press).
Emily Davison è l’altro personaggio storicamente noto, soprattutto perché con la sua morte diventò il simbolo della lotta femminista facendo il giro in prima pagina sulle testate di tutto il mondo. Fatte queste brevi premesse parliamo del film.
La trama - Maud Watts lavora in una lavanderia, perfetto esempio della Rivoluzione Industriale; durante una consegna si trova coinvolta in una dimostrazione del movimento per i diritti delle donne capeggiato dalla Pankhurst e da Edith Ellyn. Tra le rivoltose riconosce la collega di lavoro Violet Miller, che il giorno dopo cerca di convincerla ad unirsi al movimento delle suffragette. Per quanto all’inizio Maud si dimostri riluttante all’idea di disonorare il marito con comportamenti ritenuti irrispettosi e anarchici, si trova ad un tratto davanti ad una corte a testimoniare contro il suo datore di lavoro, contro gli abusi e le violenze che si svolgono in fabbrica, contro gli orari ai limiti dello schiavismo e le paghe inique rispetto a quelle degli uomini. Le donne si riuniscono segretamente nella farmacia di Edith Ellyn, ritenuta la più pericolosa e fervente tra le attiviste perché istruita al pari di un uomo. Qui organizzano le loro proteste pacifiche e Maud, circondata da altre donne che come lei sono mogli, madri e lavoratrici, capisce per la prima volta cosa significhi alzare la testa e pretendere un diritto di voto di cui prima non avrebbe saputo che farsene.
Maud e le altre donne sono vittime di grandi soprusi, vengono offese, picchiate mentre protestano, arrestate e trattate come spazzatura mentre sono in carcere (questo anche da parte di altre donne); Maud viene cacciata di casa, le viene impedito di vedere il figlio, perde il lavoro e nonostante tutto ciò, non cede ai ricatti della polizia che la vorrebbe come infiltrata all’interno del movimento, soprattutto per conoscere i movimenti della Pankhurst latitante, di cui vi voglio citare un discorso potente, che fa da una balconata alle donne di Londra e che vi giuro, mi ha fatto venire 10 centimetri di pelle d’oca:
“Per cinquant’anni abbiamo operato pacificamente per far ottenere il voto alle donne. Siamo state ridicolizzate, maltrattate e ignorate. Adesso abbiamo capito che l’azione e il sacrificio devono essere quotidiani. Combattiamo perché ogni bambina che nascerà abbia le stesse possibilità dei suoi fratelli. Non sottovalutate la forza che noi donne abbiamo nel decidere il nostro destino. Noi non vogliamo infrangere la legge, vogliamo scriverla! […] Non ci hanno lasciato alternativa se non sfidare questo Governo. Se dobbiamo andare in prigione per avere il voto, saranno le finestre del Governo e non le ossa delle donne ad essere frantumate. Incito ognuna di voi e tutte le donne inglesi alla ribellione. Preferisco essere una ribelle che una schiava!”.
Dopo queste parole le proteste delle suffragette si fanno molto più violente, ma nonostante tutto la stampa continua ad ignorare il problema e il Parlamento non si fa carico delle loro richieste. In un ultimo disperato tentativo di attirare l’attenzione dei media e del governo, Emily Davison perde la vita; durante una corsa di cavalli a cui prende parte anche il re, Emily viene travolta da un cavallo nel tentativo di appendervi la bandiera viola bianca e verde del WSPU.
Nel film vediamo la scena così come fu descritta dalla stampa internazionale, cioè come una ricerca di suicidio-martirio, al solo fine di screditare lei e il movimento. Vi furono prove, come il fatto che avesse già acquistato il biglietto del treno per tornare a Londra e che avesse preso impegni per i giorni a seguire, che testimoniarono in favore del suo gesto. Il film si conclude con le vere immagini, tratte dai cinegiornali dell’epoca delle esequie di Emily Davison, che ebbero luogo a Londra il 14 giugno 1913. Sulla lapide fu inciso il motto del WSPU “Azioni, non parole”. Il diritto di voto per le donne inglesi passò solo nel 1918 per le mogli dei capifamiglia di età superiore ai 30 anni e solo nel 1928 venne universalmente esteso.
Perché andare al cinema - Il film è uscito nelle sale già da qualche giorno, ma se ancora non vi è capitato di andare a vederlo, sarebbe un gesto molto significativo farlo proprio oggi, nella Giornata Internazionale della Donna. Dico che sarebbe significativo perché oggi celebriamo (non festeggiamo, cogliete la differenza) tutte le conquiste sociali, culturali, politiche ed economiche che ci siamo guadagnate a discapito di violenze e discriminazioni. Considerate questa recensione come un tributo a tutte le donne che hanno lottato, che lottano e che lotteranno perché le nostre voci non siano mai più soffocate dall’ignoranza e dall’indifferenza.
Come l’anno scorso vi invito a fare un giro sul sito ufficiale della ricorrenza International Women’s Day e a utilizzare gli hashtag #pledgeforparity e #bossyitaly per parlare sui social di cosa rappresenta per voi questo giorno, di come lo trascorrerete e perché no, per dirci la vostra su Suffragette nel caso in cui approfitterete di questo articolo per decidere di andare a vederlo.
Never surrender, never give up the fight.
Barbara GARGAGLIONE, redattrice di Bossy, Suffragette: le donne che hanno cambiato il volto della politica, 'Bossy', 8 marzo 2016, qui
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