mercoledì 5 febbraio 2020

#MOSQUITO / Coazione a ripetere e incapacità di pensare (Mauro Pellegrini)

... Per ognuno di noi la madre, una madre sufficientemente buona, è stata il contenitore nel quale potevamo riversare le nostre paure, le nostre rabbie, le nostre angosce; questo contenitore è stato spesso disponibile e la sua presenza ha fatto sì che anche i nostri pensieri e le nostre emozioni più spaventose trovassero in qualche modo una collocazione rassicurante o, quantomeno, analgesica e tranquillizzante; a volte il contenitore non era disponibile perché la mamma era assente o distratta o “depressa” per motivi suoi e… abbiamo dovuto pensarla, abbiamo dovuto sperare che tornasse e, nel frattempo, abbiamo dovuto contenerci da soli.

Secondo Bion è così che pian piano abbiamo costruito una mente: un contenitore dei pensieri, qualcosa che ci permettesse di placare l’ansia e, dando un nome a ciò che provavamo, cominciare ad impossessarci di pensieri che altrimenti, senza un pensatore, avremmo trovato inspiegabili e incontrollabili.

C’è una bella differenza fra il sentire una paura terribile o un “terrore senza nome” rispetto al sapere che “i pensieri che sto facendo mi stanno spaventando”. Se sono io che sto pensandoli… forse posso fare qualcosa al riguardo, posso provare a ridimensionarli, posso tranquillizzarmi, posso sperare che presto l’oggetto dei miei desideri tornerà, con esso tornerà la pace e finalmente potrò sperimentare nuovamente la vicinanza e il calore al posto della solitudine e del vuoto. Nel frattempo posso pensare altre cose, posso intrattenermi con alcuni di quegli oggetti interni che so che mi appartengono: certi pensieri confortanti, interessanti, piacevoli. (...) 

Nella coazione a ripetere la capacità di pensare è compromessa: il giocatore d’azzardo sa bene che non dovrebbe giocare e nel frattempo mette i soldi nella macchinetta, il bulimico mangia insieme al cibo i sensi di colpa che gli ribadiscono che non dovrebbe abbuffarsi, il fumatore nello sforzo di avere la volontà per smettere di fumare, si accende una sigaretta.

Laddove non sappiamo pensare… agiamo! E’ molto evidente nelle tossicodipendenze e molto più sfumato nelle varie “psicopatologie della vita quotidiana”.

E’ come se su certi aspetti della nostra vita non fossimo riusciti a creare una mente, a mettere in piedi un processo che ci permetta di far fronte al vuoto e all’angoscia che certi aspetti della vita portano inevitabilmente con sé.

Non riuscendo a pensare in quel vuoto, passiamo all’azione mettendo in atto una serie di comportamenti che sembrano alleviare la tensione. Vista in questi termini non c’è molta differenza fra un bambino che si succhia compulsivamente il dito e il fumatore o l’alcolista che portano alla bocca la sigaretta o il bicchiere. Tutti e tre cercano di alleviare la tensione, tutte e tre, se non riusciranno a pensare invece di agire, ripeteranno il comportamento ogni volta che il disagio connesso alla mancanza di qualcosa (nel caso delle tossicodipendenze la mancanza della sostanza a cui si è assuefatti, ma non solo) si ripresenterà.

In tanti dei contesti della nostra vita abbiamo smesso di succhiare il dito. Abbiamo costruito una mente che è in grado di tollerare una grande quantità di frustrazione; sappiamo posticipare il piacere e fare ciò che è giusto fare in certi momenti: lavorare, essere responsabili, temperanti, empatici. A volte sappiamo addirittura prenderci certi piaceri senza esagerare.

Ma ci sono punti su cui facciamo acqua, parti del nostro comportamento in cui sembriamo degli infanti, aree della nostra mente da cui sgorgano azioni inappropriate e prive di saggezza. Sono aree in cui per qualche motivo abbiamo fallito nell’impresa di costruire una mente, luoghi in cui i pensieri sembrano procedere senza un pensatore trasformandosi inevitabilmente in azioni.

*** Mauro PELLEGRINI, psicologo clinico, da Coazione a ripetere: pensieri senza un pensatore, blog 'formevitali.it', 15 aprile 2012, qui

In Mixtura ark #Mosquito qui

Nessun commento:

Posta un commento