Ultimamente mi accorgo che il fatto che ci siano persone a cui non piacciono le mie cose (i miei libri, gli scritti che metto qui, i miei racconti o i miei sguardi sul mondo) mi fa molto bene.
Sul serio, un tempo ci restavo magari male, soprattutto quando mi capitava di scoprire critiche al mio lavoro nascoste in post sibillini, su bacheche altrui, anche di colleghi o presunti tali, in cui non venivo nominato esplicitamente, oppure solo con le iniziali, in modo che si capisse che si parlava di me ma che, se fossi andato a fare "gné gné" col ditino alzato, il proprietario della bacheca avrebbe potuto dirmi: "Eh ma che coda di paglia, mica intendevo te con quelle iniziali, io parlavo dello scrittore Massimo Brancoluccijones!". (Ecco, per esempio, la codardia è una cosa che mi ha sempre dato più fastidio di una critica, anche dura, però scritta o detta a viso aperto).
Comunque, dicevo, il fatto che ci siano persone a cui non piacciono le mie cose, o che addirittura le detestano, va benissimo, davvero.
Se qualcuno ti detesta significa che hai il tuo linguaggio e i tuoi temi, e che c'è chi può ritenere legittimamente il primo non comprensibile o i secondi non interessanti. O viceversa. E vuol dire pure che (per fortuna) siamo tutti diversi.
Entrambe cose molto sane.
Entrambe cose addirittura belle.
Perché l'unica ragione per cui siamo qui, secondo me, nel senso proprio di qui al mondo, è quella di fare la nostra cosa. La massima onestà la dobbiamo solo a questo. Il resto - i giudizi, il gradimento, le vendite - sono cose che vengono dopo e che (anche se non sempre) sono soprattutto la conseguenza di un lavoro ben fatto.
Chi invece mi fa davvero tristezza sono quelli che si permettono di giudicare la tua vita o le tue scelte o i tuoi comportamenti, però sempre tra le righe, con messaggi subliminali nei loro status di Facebook, indirizzati con astuzia a tutti e a nessuno, stando comunque attenti a non sbilanciarsi mai, né troppo né troppo poco, quelli che alludono, suggeriscono, che non hanno il coraggio di un'opinione chiara né si assumono mai la responsabilità di una presa di posizione netta. Oppure quelli che la posizione la prendono ma non criticano il tuo lavoro, preferendo avventurarsi in dietrologie sulle tue vere intenzioni (che naturalmente solo loro conoscono), che ti accusano di essere un furbetto, che sottintendono addirittura che le tue figlie non esistano (!), o che i tuoi racconti familiari siano frutto di completa invenzione o speculazione, senza accorgersi del paradosso che, se così fosse, saresti uno scrittore assai migliore di quello che loro ti rimproverano di (non) essere.
Ecco, quelli mi fanno davvero tanta pena.
E mi ricordano che, se tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, tra il dire e l'alludere, spesso, c'è solo di mezzo il prudere.
*** Matteo BUSSOLA, 1971, scrittore, fumettista, conduttore tv, facebook, 21 novembre 2019, qui
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