Un giurista deve – sottolineo deve – dedicare una cospicua parte del proprio tempo a cose che con il diritto, all’apparenza, non c’entrano nulla: leggere buoni romanzi, vedere buon cinema, anche buona televisione. Insomma nutrirsi di buone storie. Perché deve, si potrebbe legittimamente chiedere? Perché è l’arte del racconto a ricordarci come non esista una sola risposta di fronte ai dilemmi umani. Essi sono inevitabilmente ambigui. I personaggi dei buoni romanzi, dei buoni film, rappresentano i diversi punti di vista sul reale. Pensate a un’opera geniale come Rashōmon, dove una storia che parrebbe semplicissima diventa, nei racconti dei quattro protagonisti, una pluralità di storie addirittura incompatibili fra loro. O pensate a quel passaggio dei Fratelli Karamazov in cui Ivan chiede al fratello Alëša se per garantire la felicità all’intero genere umano sarebbe disposto a torturare una bambina.
*** Gianrico CAROFIGLIO, 1961, già magistrato, scrittore, La misura del tempo, Einaudi, 2019
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