Credo che la letteratura debba creare disagio. Nelle università degli Stati Uniti abbiamo smesso di leggere libri che ci mettono in discussione. Un romanzo come Lolita di Nabokov è stato accantonato. Mi chiedo dove arriveremo di questo passo. Finiremo per bandire Ovidio o Shakespeare?.
[D: Accade anche nel suo ateneo, a Princeton?]
Una volta, stavo tenendo un corso su Primo Levi, un mio studente di origine ebraica si è rifiutato di leggere Se questo è un uomo. Diceva di trovarlo troppo disturbante. Cosa fare?.
[D: Spiegargli il valore di Levi?]
Rimane però il timore che lo studente possa lamentarsi, raccontare di essere stato costretto a leggerlo. Qualche tempo fa avrei voluto tenere un corso su Ágota Kristóf, un mio collega mi ha dissuasa. Pensaci bene - mi ha detto - è roba forte. È questo il clima nelle università americane. La scorsa primavera ho parlato in aula di Hemingway. Grande scrittore, ma con un atteggiamento controverso verso l'universo femminile. In clima post #MeToo la scelta era delicata, tanto più che le lezioni erano seguite da tutte donne.
[D: Si applica all'arte uno schema morale troppo rigido?]
Come la vita, la letteratura è lì per ricordarci che non tutto è sotto controllo, che anche una bestia può essere guardata come un essere umano. Non deve rassicurarci, semmai avere un potere straniante.
*** Jhumpa LAHIRI, 1967, scrittrice statunitense di origine indiana, intervistata da Raffaella De Santis, Jhumpa Lahiri: da noi in America anche Primo Levi rischia la censura, 'la Repubblica', 9 marzo 2019, qui
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