La spinta forsennata al consumismo e al capitalismo rampante sta creando in Cina quella stessa sfacciata divisione in classi e quello stesso cinico sfruttamento che connotò il proto-capitalismo industriale dell’Ottocento inglese e che tuttora, con l’incapacità di distribuire la ricchezza e il lavoro, rappresenta il massimo problema del capitalismo occidentale. Il contenimento dei salari e la pressione produttivistica hanno trasformato molte fabbriche cinesi in altrettanti lager infernali. I contratti di lavoro sono quasi tutti a tempo determinato; nel settore calzaturiero si arriva a lavorare undici ore al giorno senza un giorno di vacanza e spesso i salari sono pagati con grave ritardo. Le grandi multinazionali – da Timberland a Walt Disney, da Apple a Nike – hanno trovato in Cina la massima disponibilità allo sfruttamento più spregiudicato: lavoro minorile, orari massacranti di diciotto ore al giorno, assenza di ferie, assoluta mancanza di sicurezza sul lavoro e di garanzie sindacali, reparti gestiti con la stessa violenza delle carceri, paghe orarie di pochi centesimi, incidenti anche mortali, inquinamento e intossicazioni, maltrattamenti, divieto di andare in bagno e di bere. Nelle sole miniere di carbone muoiono almeno seimila lavoratori ogni anno.
*** Domenico DE MASI, sociologo, saggista, docente emerito dell'università La Sapienza di Roma, Il lavoro nel XXI secolo, Einaudi, 2018
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