Si può solo scriverne.
Questo era il pensiero che mi era venuto uscendo dal CUP dell’Ospedale di Rho, dove mi ero recato a prenotare le analisi del sangue. All’interno dello stanzone affollato e insolita-mente caldo (visto che tutti gli ambienti pubblici e privati avrebbero dovuto subire la riduzione delle temperature causa razionamenti nelle forniture del gas) tutto sembrava un flusso disordinato di facce e di storie. La maggior parte di queste facce entravano senza mascherina e dovevano essere riportate all’ordine dall’infermiera di turno, molti non si raccapezzavano col display delle accettazioni (“Questo è nuovo, l’han fatto più piccolo così non si vede niente”). I più fragili, supportati da altri meno fragili ma pur sempre fragili anch’essi, dovevano alzarsi per controllare ogni qualvolta si sentiva il segnale sonoro di una chiamata. E poi, disillusi, riprecipitavano sulle loro sedie sperando nella chiamata successiva.
All’accettazione la giovane multitasker sorridente prendeva i documenti, parlava di figlie con la collega di fianco (“a dodici anni sono giù adulte, devi rapportarti con loro come a un adulto…”) e rispondeva in simultanea a un flusso continuo di messaggi whatsapp. Poi, mentre le mani viaggiavano alla velocità della luce sulla tastiera del pc, alzava un attimo lo sguardo e sembrava accorgersi dell’utente per la prima volta.
“Stasera danno Superman in tv, il mio film preferito da bambina”. “Io preferivo Batman” risponde la collega di fianco e poi entrambe mi guardano all’unisono negli occhi con fare interrogativo. “In quegli anni io leggevo Tex Willer”. Un attimo di incredulità e poi si distendono in un sorriso quasi sincronizzato. “Mio marito leggeva Tex Willer”. “Un grande suo marito” avevo replicato.
Nel frattempo era arrivata la documentazione che attendevo con impazienza. Con quella potevo finalmente andarmene da quella specie di caverna platonica del nuovo millennio fendendo la massa di persone indistinta in attesa. Oltre a tutto il resto (l’attesa, il caldo, l’affollamento, la mascherina…) anche il frastuono cominciava ad essere insopportabile.
Poco prima che guadagnassi l’uscita mi era caduto l’occhio su un’anziana donna ben vestita, in piedi in un angolo. La sua presenza era come un pugno nello stomaco. In lei tutto sembrava al suo posto, le mani, il volto, la borsa, la sciarpa. Solo gli occhi raccontavano la sua sofferenza. All’improvviso si portò la mano alla bocca ed emise tre colpi di tosse. Si fece un attimo di silenzio in sala. O almeno così parve a me. Era come se i tre colpi di tosse avessero riportato l’ordine. Di più, era come se avessero rievocato, dalle viscere della storia, l’origine di un bisogno profondo, archetipico. Mentre uscivo ebbi la sensazione di capire tante cose insieme. Ma l’unica che mi è rimasta veramente impressa è che quei colpi di tosse non potevano che essere tre. Non uno di più, non uno di meno.
Come dicevo all’inizio: si può solo scriverne.
*** Massimiliano CACCAMO, 1954, consulente di sviluppo organizzativo, formatore, saggista, scrittore, Si può solo scriverne
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